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San Carlo da Sezze |
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SAN
CARLO DA SEZZE
UN
CITTADINO “PATRONO” DELLA SUA CITTA’ articolo di Carlo Luigi Abbenda, pubblicato su "Patroni e Feste Patronali nel Lazio" AA.VV. Lunario Romano 2000, XXVIII volume - edizione Gruppo Culturale di Roma e del Lazio
Le spoglie di San Carlo portate in processione a Sezze nel 1959. Nella foto a destra Don Vincenzino Venditti San
Carlo, frate laico francescano o.f.m. (Ordine Frati Minori), si
chiamava, nel secolo, Giovan Carlo Marchionne (o Melchiorre) e nacque il
22 ottobre 1613 a Sezze, attualmente città in provincia
di Latina ma in quel tempo appartenente alla Reverenda Camera Apostolica
di Roma. Giovan Carlo, dopo essere entrato nell’ordine francescano nel
1635 e dopo un’umilissima ed esemplare vita religiosa, morì a Roma il 6 gennaio del
1670, già in odore di santità. Sezze,il
paese di San Carlo,in quel tempo era città della Reverenda Camera
Apostolica di Roma (apparteneva cioè allo Stato Pontificio). A Sezze, nel seicento, la "Cosa Pubblica" era nelle mani di poche nobili famiglie (I Normisini, i Pilorci, i Brancaleone) che, nel pieno dell'età nepotistica, controllavano lo svolgersi della vita comunale con l'appoggio dei grandi casati romani. Ma la Sezze del popolo, quella dei lavoratori e delle persone più umili, si reggeva sull'economia di piccoli agricoltori ( Che coltivavano generalmente terre non proprie, ricevute in enfiteusi dalle varie parrocchie) e da laboriosi artigiani. I "Bifolchi" erano una categoria di lavoratori abbastanza diffusa ( Il nostro santo è un illustre "bifolco"), anzi era già una fortuna, allora, possedere una coppia di buoi per coltivare i campi. La povertà infatti era sempre presente tra il popolo, arrecandogli gravi miserie materiali e pessime condizioni igieniche. Infine le immancabili Paludi Pontine rendevano l'aria malsana ed erano uno spauracchio per tutti, specialmente per i poveri agricoltori: nonostante l'impegno dei papi di allora la situazione dei campi ristagnava in modo preoccupante. Ritratto di San Carlo attualmente esposto nella chiesa di San Lorenzo in Sezze (foto A.Danieli) Tali condizioni di vita esposero penosamente Sezze nel 1656 ad una spaventosa epidemia che, così come in altri paesi, spopolò più di metà dei cittadini (San Carlo ci parla, nelle sue "Grandezze..." , di circa 4500 vittime) fra cui perirono anche due fratelli del nostro santo che erano dediti all'assistenza degli appestati.In quel tempo Sezze era divisa in sei rioni (quanti ne restavano di quell'antiche suddivisioni chiamate "Decarcie") in ciascuno dei quali vi era una parrocchia con relativa chiesa: Santa Maria, San Pietro, Santa Parasceve, Sant'Andrea, Sant'Angelo, San Lorenzo. Ogni parrocchia aveva circa 150 scudi di entrata all'anno. Agli inizi del 1600 Sezze era tutta pervasa di spirito religioso che, alimentato dalla devozione per l'abate Lidano d'Antena (San Lidano), fu rafforzato dal fiorire di svariate comunità francescane. In
Sezze infatti erano presenti quattro comunità francescane e
la Compagnia di Gesù ( I Gesuiti) di Sant'Ignazio di Loyola. Gli ordini
francescani ( le cui radici a Sezze risalgono all'amicizia di San
Francesco con il setino cardinale Leone Brancaleone ) erano
esplicitamente: 1) I Frati Minori (Conventuali e Riformati);2)I Cappuccini;3) Le Clarisse (Monache di Santa Chiara). I
Conventuali avevano il convento annesso alla chiesa di San Bartolomeo
(ora adibito ad Ospedale Civile). I "Zoccolanti" Riformati (L'Ordine del nostro santo) risiedevano nel convento di Santa Maria delle Grazie (ora adibito a Cimitero cittadino). I Cappuccini, dal 1612 in poi, dimorarono nel convento di San Francesco posto nel bosco (detto comunemente "La Macchia") ove Giovanni Pilorci aveva rinvenuto due suoi figli che colà si erano smarriti. Le Clarisse di Santa Chiara si insediarono in Sezze nel 1603 in un monastero costruito per le Domenicane e mai da queste occupato. L'Ordine che però dette al paese più lustro, non solo religioso ma anche sociale, fu quello dei Gesuiti. Tali
padri, stabilitisi nella chiesa collegiale di San Pietro, erano dediti
principalmente alla diffusione dell'istruzione scolastica ed
all'Apostolato cristiano.Il Collegio-Seminario Gesuitico fu sin
dall'inizio un centro di studi altamente qualificato, divenendo ben
presto il faro della cultura setina ( da esso uscì dotto
giureconsulto il Cardinale Corradini). Ai bisogni spirituali dei
cittadini invece, i Gesuiti provvidero con la creazione di una
"congregazione mariana" (a cui si iscrisse più tardi
anche San Carlo) che radunò "artisti" e "lavoratori"
per formarli e temprarli cristianamente con esercizi di carità e di
devozione.In questo clima di profonda spiritualità era
impossibile che non spuntassero anime devote e cristianamente
formate. La
questione sui dati anagrafici del santo è molto dibattuta ed è qui
inopportuno dilungarsi su questo punto marginale. (Comunque chi volesse
approfondire la questione sulla precisa data di nascita del Santo e sul
suo cognome, può vedere il vol. I, 41 ss delle Opere Complete edite a
cura di padre Raimondo Sbardella dal 1963 al 1973). San Carlo, da parte
sua, nella sua autobiografia ci racconta naturalmente la sua vita a
cominciare dalle proprie umili origini e si esprime in questi
termini: «Nacqui or dunque, per quello che si ricava nella fede di battesimo, ai ventidue di ottobre 1613, in giorno di martedì, e ai ventisette del medesimo mese, in giorno di domenica, fui battezzato, e mi posero nome Giovan Carlo» (Opere complete, I, 265). Anche circa i suoi genitori (e quindi sul proprio cognome) il Santo ci racconta e ci precisa: «Chiamavasi mio padre Ruggero Marchionne e mia madre Antonia Maccione, ambedue nativi dalle antiche famiglie di Sezze, città della reverenda Camera Apostolica» (I, 260). Il
segreto del graduale e corretto sviluppo umano, sociale e religioso del
santo stà tutto in una esemplare educazione umana e sociale ricevuta
nell’ambito domestico. I suoi genitori furono naturalmente i suoi primi veri educatori (sempre esemplari, assidui e generosi di consigli e di disciplina cristiana) ma ad essi si aggiunsero i precetti e la testimonianza della nonna materna, Valenza Pilorci. la parola di Dio quindi fu la base solida e feconda in cui si innestarono i principi basilari, che , secondo le parole del padre, erano fondati nella stessa legge di natura. Tali principi comportamentali, come ripete il santo, si potevano sintetizzare nel motto cristiano che recita: «Non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te; fai agli altri quello che vuoi che sia fatto a te» (I, 261).In realtà tale lineare sviluppo umano non avvenne senza alcun ostacolo, anzi i primi impedimenti alla crescita armonica di Giovan Carlo gli furono dati dal suo stesso focoso temperamento che alimentò in lui l'istinto della prepotenza e della sopraffazione: infatti in famiglia tutti lo chiamavano il gallo di casa (I, 269). Anche gli stessi studi scolastici furono ostacolati da una “diabolica” propensione del ragazzo verso letture non prettamente
scolastiche e formative.Infatti il giovane Carlo, che godeva di una
vivida e prontissima intelligenza oltrechè di una incontenibile
vivacità, era continuamente distratto dagli insegnamenti scolastici
perché attratto maggiormente da letture più romanzesche e
fanciullesche. Tutto questo venne quindi a discapito della sua corretta
formazione che venne brutalmente interrotta da una ribellione clamorosa
del giovane che rimediò un’amara subitanea «frustatura»
(I, 68ss). Gian Carlo così, in seguito a tali negativi risultati, che vennero visti quasi come una vera e propria catastrofe,pensò bene di ritirarsi ad una vita più idilliaca intraprendendo il lavoro dei campi e mettendosi a pascolare dei buoi che richiese espressamente al padre.In questa pacifica e distensiva occupazione Giovan Carlo riacquistò molto del suo equilibrio psicofisico di cui si giovò grandemente la salute.In questo modo il giovane venne a maturare gradualmente una propria vocazione religiosa, orientandosi precisamente verso una scelta laicale francescana.Infatti il giovane radicò in se stesso la vocazione dello stato di fratello laico tra i Frati Minori francescani. Decise quindi immediatamente di recarsi a chiedere consiglio ed accoglienza presso i frati che risiedevano nel locale convento di S. Maria delle Grazie. Questa singolare e inusuale sua decisione non venne accettata pacificamente nel suo focolare domestico che pur sognavano una carriera religiosa per il ragazzo. Oltre il diniego dei suoi stessi genitori la scelta del giovane incontrò anche una forte opposizione da parte dello zio materno, don Francesco Maccione, il quale voleva che diventasse prete. Tale rispettato ed influente parente anzi, per giungere al suo scopo e per convincere il nipote a farsi prete regolare, gli promise il suo stesso canonicato! In seguito lo stesso zio dovette accondiscendere all’idea che il nipote si facesse frate, ma sempre sacerdote. La volontà di Giovan Carlo alla fine fu la più forte di tutte e fece trionfare la risololuzione di intraprendere lo stato laicale dei frati minori francescani. Il 10 maggio del 1635, dopo aver cordialmente salutato quelli di casa, si recò a Roma, nella chiesa di San Francesco a Ripa Grande, per essere ricevuto all'Ordine, e il 18 maggio successivo vestì l'abito religioso nel convento-noviziato di San Francesco in Nazzano: come nome di novizio gli venne imposto quello di fra’ Cosimo. L'interno della casa di San Carlo a Sezze in piazza San Lorenzo. La sua restaurazione nel 1995 è avvenuta a cura del Centro studi "San Carlo da Sezze" fondato in quell'anno per diffondere il messaggio spirituale del Santo. Dopo l’anno del noviziato, non senza difficoltà e sofferenze, il giovane emise la professione religiosa e, sotto espressa richiesta della madre, gli fu di nuovo cambiato il nome in fra’ Carlo.Il giovane religioso iniziò a questo punto un lungo e faticoso cammino nei vari conventi laziali, quasi un continuo pellegrinaggio.La prima residenza del giovane Carlo fu quella del convento di Santa Maria Seconda di Morlupo, non molto distante da Nazzano.In tale eremo cominciò ad essere impiegato in quelle umili occupazioni apprese nel noviziato: ortolano e cuciniere furono i suoi primi servizi. Nell'ottobre del 1637 fu destinato al convento di Santa Maria delle Grazie di Ponticelli Sabino. Improvvisamente, nel novembre del 1638, ricevette la notizia della morte della madre, proprio mentre si trasferiva da Ponticelli al convento di San Francesco in Palestrina.In effetti, dopo la scomparsa del padre, morto nell'agosto del 1636, il santo era maggiormente rimasto legato alla figura della propria madre la cui morte il giovane presentì nel suo intimo prima che questa avvenisse. Nel
convento di Palestrina il giovane fu destinato ad un nuovo lavoro ed
iniziò a svolgere l’ufficio di questuante. Carlo inoltre,nel suo
graduale sviluppo religioso,cominciò a sperimentare le prime estasi
propriamente dette. Dal 1630 alla sua morte San Carlo percorse vari
stati di orazione (fervore di spirito, estasi, stigmatizzazione,
comunione quotidiana, elevazioni di spirito, confermazione in grazia). Nel
marzo del 1640 fu mandato nel convento di San Giovanni Battista
del Piglio, ma ivi rimase ben poco tempo perché nell'aprile seguente fu
destinato a fare il sacrestano a Carpineto Romano. In tale convento
Carlo, dopo questi continui spostamenti, poté restare fino al marzo del
1646. In questa stessa dimora il giovane dovette patire una pesante
prova di pazienza e di fedeltà ai suoi voti: infatti Carlo fu
sottoposto ad una incomprensibile persecuzione da parte di un
confratello e ad una furibonda tentazione di lussuria.Per scampare a
queste diaboliche tentazioni Carlo fu sollecitato a scrivere sulla
passione di Cristo, e nel 1645, proprio nello svolgersi di una dannosa
peste che sconvolse il paese, egli diede prova di eroiche virtù quale
benefattore e confortatore degli appestati, senza timore alcuno ed
esponendosi cristianamente al rischio del contagio
per la sua vocazione religiosa tutta dedita al prossimo ed a Dio
(Il, 75ss). Leggiamo ciò che scrive il giovane Carlo: «Dopo aver sopportato, in questo convento di Carpineto, tante si spaventose e terribili tentazioni del demonio, del senso e degli uomini, si fece il nuovo Capitolo provinciale, e fu eletto per Ministro della Provincia il padre Giuseppe da Roma, della famiglia Rivaldi, che fu nel 1646 nel mese di marzo, nel tempo di Papa Innocenzo X» (Il, 93). In questa occasione, cioè nel nuovo capitolo provinciale del 1646, fra’ Carlo fu trasferito a Roma, nel convento di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, dove resterà per il resto della sua vita, salvo due brevi soste nel convento di San Francesco a Ripa nel 1650 e nel 1652. Nel 1647, essendo stato informato di una cruenta morte dello zio don Francesco, il giovane prova una violenta ed insinuosa tentazione di vendetta contro gli uccisori del suo amato parente. Il giovane, comunque, supererà anche questo travaglio e vincerà la tentazione portando il perdono personalmente ai parenti degli assassini. «Il sangue non può diventare acqua», aveva scritto il giovane nella sua stessa autobiografia (II, lO4ss) ma tale modo comportamentale, prettamente umano, non aveva fatto i conti con la potenza della Grazia di Dio. Nel 1648, come abbiamo visto, fu arricchito dalla trasverberazione del cuore nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case in Roma (II, 136ss). Tale sommo ed intenso avvenimento mistico fu donato a fra’ Carlo quasi per bilanciare una sua eroica rassegnazione
a scontare una punizione malamente inflittagli. Da questo momento in
poi ha inizio un vero e proprio supplizio di testimonianza religiosa.
Fra’ Carlo infatti fu chiamato ad affrontare un'estenuante altalena di
comandi e di proibizioni di scrivere.D’altra parte Carlo acquista un
sempre più profonda stima di esemplare vita religiosa: egli diventa, a
poco a poco, direttore spirituale di diverse persone, di laici, di
prelati e consigliere di un congruo numero di comunità religiose. In effetti fra’ Carlo, che aveva avuto da Dio doni straordinari, tra i quali, in particolare, quelli del consiglio e della scienza infusa, profuse a larghe braccia tutti questi gratuiti talenti e molti laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, cardinali e pontefici ebbero modo di giovarsi di essi. Il nostro santo inoltre, nel corso degli anni, predisse il pontificato ai cardinali Fabio Chigi (Alessandro VII), Giulio Rospigliosi (Clemente IX), Emilio Altieri (Clemente X) e Gianfrancesco Albani (Clemente XI). Con
tutti costoro fra’ Carlo ebbe un rapporto di profonda amicizia nonché
un intimo rapporto spirituale, soprattutto con papa Clemente XI. Tali
carismi spirituali vennero
naturalmente riconosciuti nella proclamazione della sua beatificazione
(soprattutto quello della scienza infusa, definito assolutamente
straordinario ). Nel
corso della seconda metà del suo secolo fra’ Carlo si dedicò a
mettere per iscritto sia la sua vita che le sue intime esperienze.Questo
impegno egli lo assunse, alla fine di un contrastato percorso, non per
vanagloria ( il nostro era quasi un illetterato) ma solo
per obbedienza verso il suo confessore che, riconosciuto il sommo
valore spirituale delle sue esperienze mistiche, lo aveva alfine
spronato a scrivere. Fra’ Carlo in effetti, dopo sei-sette anni di studi giovanili in cui apprese i primi rudimenti della lingua latina ( I, 69 ), aveva dimenticato quasi tutto e gli restava, come afferma nella sua autobiografia, “solo nella memoria un poco di leggere e malamente di scrivere” ( I,272 ). Oltre a questa impreparazione letteraria fra’ Carlo incontrò ripetutamente tanti altri svariati contrasti.Oltre le iniziali e ripetute
proibizioni dei suoi superiori anche la sua stessa vita spirituale
rappresentò per lui una notevole fonte di difficoltà : le atroci
sofferenze interiori, talora strazianti, gli causarono spesso uno stato
di vera e propria “malattia”, procurandogli delle improvvise e
strane ottusioni mentali ( I, 116 ss). Alla
fine di tutto però, superate positivamente tutte queste circostanze
negative, il nostro religioso poté dedicarsi allo scrivere,
affrontando, come già detto, questa occupazione solo come
un’obbedienza da affrontare e non per vane aspirazioni letterarie.
Nel 1653 termina di comporre il “Trattato delle tre vie della meditazione e stati della santa contemplazione”. E’
questa un’opera ascetica e morale,di mistica esperienza, in cui Carlo
suggerisce un percorso di perfezione cristiana ripartito in tre vie : ·
La via
Purgativa ( in cui
l’anima dell’uomo, sporca dei vizi e delle male inclinazioni, si
dedica alla mortificazione ascetica ed a sviluppare in sé dei santi
desideri ). ·
La via
Illuminativa ( in cui
l’anima si impegna a diradare le tenebre del peccato e ad arricchirsi
di virtù cristiane ). ·
La via Unitiva
( in cui l’anima si dedica ad un totale spogliamento della sua volontà,
distogliendola dall’ amor profano, rivestendola dall’amor sacro ed
immergendola nelle virtù del santo amore di una vita attiva ). La meta della via di perfezione è data dal finale riposo di una vita contemplativa. L’opera
fu pubblicata nel 1654 e nel 1664. Nel 1654, alla fine di una lunga e laboriosa stesura, il nostro Carlo pubblica, per la prima volta, il lavoro dedicato ai “
Canti Spirituali ” L’opera
fu talmente apprezzata dal popolo dei devoti che di essa furono
pubblicate altre edizioni nel 1664 e uno speciale commento talmente
poderoso da costituire un lavoro a sé stante. Nel 1657 fra’ Carlo termina il “Cammino interno” (dell’…anima sposa dell’Umanato Verbo Cristo Gesù, per il quale ella
s’incammina alla perfezione dell’unitivo amore con Dio): è questa
un’opera molto voluminosa e di grande spessore sia per la varietà
degli argomenti trattati sia per la profondità dottrinale. Rappresenta
un commento ai Canti Spirituali. Il lavoro fu pubblicato in Roma nello
stesso 1664. Di eccezionale importanza è quindi la dottrina mistica di San Carlo,da lui esposta in maniera dettagliata specialmente nel Trattato delle tre vie nel Camino interno e nella Autobiografia, opere che rappresentano delle fondamentali esperienze mistiche nell’ambito della chiesa e quindi offrono un contributo molto significante alla scienza della mistica vera e propria poiché, fra l'altro, l'autore non comunica o insegna fatti basati su teorie intellettuali bensì descrive degli stati che egli stesso ha già sperimentato (Autobiografia, f. 305v). San
Carlo, per tali motivi, fu paragonato, con valide motivazioni, a San
Giovanni della Croce e a Santa Teresa d'Avila.Tale grande
“dottoressa” infatti non fu estranea a san Carlo, anzi venne da egli
ritenuta, nel particolare descrivere gli stati sull'orazione, quale
maestra datagli da Dio (ibid., f. 305r). Nel 1660 Carlo inizia a comporre i “Settenari Sacri” (ovvero meditazioni pie per sollevare l’anima all’unione con Dio per
i sette giorni della settimana) : trattasi di un’opera complessa in
cui si esprimono ben 98 meditazioni su sette particolari tematiche: la
creazione, le virtù (teologali e cardinali), le virtù morali, i sette
viaggi dolorosi di Cristo nei giorni della sua passione, le sette parole
di Cristo pronunciate sulla Croce, le sette petizioni del Pater Noster ,
i sette doni dello Spirito Santo. In sintesi Carlo esprime l’essenza della vita spirituale basata non sulla Scienza ma sull’Amore. Il progresso costante consiste nel praticare sempre di più l’Amore ( un solo amore distinto nei tre gradi : 1- Pratico ; 2- Fruitivo; 3-
Essenziale ) tipico della vita attiva, di quella contemplativa e di
quella perfetta. L’anima che tende a perfezionarsi ha per ideale la
meta dell’Amor Puro, raggiungibile da tutti.L’opera è contenuta in
un poderoso volume ed è utilissima per ogni persona desiderosa di
salire a perfezione. Il lavoro fu pubblicato in Roma nel 1666. In
questo stesso anno furono pubblicati l’Esercizio devoto per la novena
di nostro Signore e l’ Esercizio devoto per la novena della santissima
Vergine Maria. Nel 1661 Carlo comincia a comporre finalmente anche una autobiografia, la famosa opera meglio conosciuta come “Le grandezze delle misericordie di Dio” (in un’anima aiutata dalla Grazia divina), che termina nell'agosto del 1665: è
questa una particolare descrizione autobiografica della vita del nostro
religioso che ha voluto comunicare non tanto fredde notazioni di vita
umana bensì l’intero svolgersi della sua vita spirituale alimentata e
spronata a perfezione dalla mano gratuita di Dio. Intanto,
in questo scorcio di secolo, Carlo ebbe modo di girovagare ancora fuori
di Roma:nel 1662 egli viene mandato a Napoli, nel monastero Santa
Chiara, per compiere una funzione di direzione spirituale e nel 1666
accompagna il cardinale Cesare Facchinetti ad Assisi, Loreto, La Verna,
Firenze. Altro viaggio nel 1669 a Spoleto, sempre dal cardinale
Facchinetti. L'opera più voluminosa di fra’ Carlo è rappresentata
dall’ “Esemplare
del cristiano”
(ovvero discorsi sopra i misteri principali della vita, predicazione,
passione e resurrezione di Gesù Cristo, cavati da quello che hanno
scritto i quattro Evangelisti, e divisa in tre parti):si tratta,come si
comprende, della vita di Cristo, purtroppo incompleta per la
sopraggiunta
morte dell'Autore, arrivando fino al discorso sopra l'Ecce homo. L'opera
ha carattere narrativo ed esegetico, ma con molta frequenza vi sono
inserite riflessioni di natura eminentemente mistica, che danno un valore
notevole allo scritto. In modo particolare fa impressione una conoscenza
sbalorditiva della Sacra Scrittura da parte di fra’ Carlo. L’opera
resterà inedita durante la vita e purtroppo tale rimane ancora oggi. San Carlo fu uno scrittore fecondo e trattò con maestria problemi di altissima spiritualità, da destare ammirazione in
uomini dottissimi, come si espresse Leone XIII nella bolla di
beatificazione (1,109). Fra’ Carlo durante la sua vita religiosa mantenne sempre un’umile posizione all’interno della sua schiera francescana e non ricoprì mai incarichi di livello o di responsabilità direzionale. In effetti egli fu impiegato in molte umili occupazioni, proprie del suo stato ( fece cioè l’ortolano, il cuoco, il questuante, il portinaio e il sagrestano). In tali uffici fra Carlo si distinse per l'umiltà, l'ubbidienza, la pietà serafica e l'amore verso il prossimo, riuscendo ad unire alla più intensa vita interiore e contemplativa una instancabile attività caritativa e apostolica. Proprio
da questa propensione missionaria Carlo fu spinto a chiedere spesso di
uscire fuori dal proprio convento per dedicarsi amorevolmente alla cura
di tutti i bisognosi sparsi in varie parti d’Italia ( Urbino, a
Napoli, a Spoleto e molte altre città minori). San Carlo, quale frate francescano dei Minori Riformati, il 6 gennaio 1670 rese l'anima a Dio (Il, 515ss). Dopo
la morte iniziò la raccolta di testimonianze sulla santità di fra
Carlo da parte di P. Angelo Bianchineri da Naro, già suo confessore
saltuario e consigliere assiduo, di Nicola Grappelli ed altri. Nel 1694
La Congregazione dei Riti decretò di aprire il processo sulla fama di
santità, virtù e miracoli; iniziò così una trafila che si dimostrò,
per varie cause, piuttosto laboriosa: Clemente XIV dichiarò
l’eroicità delle sue virtù il 14.06.1772, la congregazione generale
per procedere alla beatificazione ebbe luogo nel 1875 e solo nel 1882
fu proclamato beato da Leone XIII (con breve del 1°.10.1881). Anche per
la canonizzazione si ebbe un contrattempo: era stata programma per
l'ottobre 1958, ma il 9 di quel mese morì Pio XII e così la
glorificazione fu aggiornata per il 12 aprile 1959, e fu operata
da Giovanni XXIII (II, 518ss). Il corpo riposa in San Francesco a
Ripa. La festa liturgica, per l’ordine francescano, si celebra il 7
gennaio. San Carlo rientra nella schiera di quei santi stigmatizzati e si distingue da tutti gli altri per essere il solo tra di essi ad aver ricevuto uno stigma prodigioso nel cuore direttamente dall’Ostia Consacrata (La Santa Eucarestia), per di più durante lo svolgimento di una Santa Messa. La Reliquia di San Carlo in occasione della sua permanenza nel duomo di Santa Maria nel 1998 (foto A.Danieli) Tale
fatto prodigioso avvenne a Roma nell’ottobre del 1648 dentro la chiesa
di San Giuseppe a Capo le Case. La “trasverberazione” o “stigmatizzazione” del cuore di San Carlo è stato l’evento più prodigioso e soprannaturale avvenuto nella vita di S. Carlo da Sezze che naturalmente ci ha raccontato l’episodio nella sua autobiografia ( “Le Grandezze delle Misericordie di Dio “, Libro VII, 6° cap.” ). Secondo le testimonianze di alcune religiose del monastero di San Giuseppe, fra’ Carlo rimase privo di sensi per vario tempo, tanto che dovettero mandar “fuori aceti e cose confortative per farlo rinvenire”, sebbene alcune dicessero che non si trattava di “svenimento naturale ma di cosa soprannaturale”. Secondo altre testimonianze fra’ Carlo, per timore di peccare di vanagloria, pregò il Signore perché si chiudesse la medesima ferita, che “fece per qualche tempo sangue”. Si testimonia anche che il santo, nonostante che la ferita fosse chiusa, ne sentì il dolore fino alla morte. Il 6 gennaio 1670 infine, cioè alla morte di fra’ Carlo, comparve definitivamente sul suo petto un singolare “stigma” che venne riconosciuto di origine soprannaturale da un’apposita commissione medica e fu adottato come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione. Per
arrivare ad essere riconosciuto “Patrono” della sua Sezze San
Carlo ha dovuto compiere una trafila e mettersi in attesa del titolo
alle spalle di San Lidano Abbate che, appena morto, nel 1118,
venne subito acclamato patrono di Sezze e tale è rimasto a tutt’oggi.
San Carlo quindi solo da pochi anni, a furor di popolo, ha affiancato
San Lidano nel patronato della sua stessa città ed ambedue vengono
solennemente celebrati ogni prima domenica del mese di luglio. San
Carlo da Sezze, diversamente da San Lidano,
non possiede di per sé una “Leggenda” vera e propria (in
senso letterario ed agiografico) ma in realtà la bibliografia attorno
alla sua santità è grandemente sviluppata e si è arricchita sempre di
più nel corso degli anni, a partire dalla sua beatificazione del 1882
fino ai nostri giorni. La base letteraria della sua
“Leggenda” è anzi costituita dalla sua stessa autobiografia,
lasciataci dal santo. Tra i letterati più famosi che, attraverso un
intimo rapporto con il santo, si sono distinti per le loro opere
agiografiche caroliane: Anton Maria da Vicenza, padre Severino Gori,
Jacques Henrinckx, mons. Ippolito Rotoli, Antonio Valleriani, mons.
Vincenzo Venditti e il padre francescano, confratello del santo, Raimondo
Sbardella che ha profuso quasi una vita intera per la pubblicazione
e divulgazione delle opere di San Carlo.
Le
tre vie della Meditazione
(Dal
"Trattato delle tre vie")
-
Dialogo tra San Carlo e due penitenti laici -
di
Carlo Luigi ABBENDA
1° Peccatore: Ahimè, ditemi fra' Carlo la via da seguire:
perduta ho io la divina grazia che porta seco la vera pace, la
consolazione certa!
La
mia anima meschina di peccatore è priva ormai di questi beni; ripiena
di fantasmi e immagini nocive è la mia memoria; il mio intelletto è
offuscato e coperto di folte tenebre; piena d ' affetti impuri e d'amor
disordinato è la mia intrigata volontà che invece dovria esser colma
dell'amor di Dio. San Carlo: O uomo
miserabile e corrottibile, invecchiato ne' peccati,
non t'accorgi che altro non fai
che continuamente trasgredire li divini precetti e, seguendo
l'orme del peccato, offendere quell'infinita Maestà, dalla quale tu hai
ricevuto ogni bene, e tanti altri ne ricevi giornalmente. Non ti avvedi
che, sodisfacendo a questo tuo corpo sozzo e stomacoso, lo fai diventare
un oscuro sepolcro, dove, mentre tu vivi, giacerà sepolta l'anima tua
meschina, priva di ogni spirituale conversazione, abbandonata et
afflitta, senza potersi punto ritirare nell'interno, e , nel suo centro
riposando, conversare col suo Dio, senza potere ella rimirare quel
divinissimo sole, dal quale fu formata ad imagine e similitudine sua,
essendo impedita dall'immondizie del peccato la sua luce spirituale.
2° Peccatore : Infelice è il mio stato in cui giace la mia anima,
crudele è il suo stato e crudele è il mio esistere: camminando stò
per strade faticose e piene di peccati! Ditemi, o confessor dell'anima
mia, quale via ho da seguire per scampare dalla sepoltura eterna, piena
di tenebra e di fetore? San Carlo: Il tempo presente è breve, tosto sparisce, e l'eternità
non ha fine. E' severa la giustizia di Dio, dalla
quale tu non puoi sfuggire. Dimmi, ti prego, a che ti averà
giovato il tempo malamente speso, il quale ti è stato concesso da Dio
acciocché riconoscessi la sua bontà e, conoscendo, l'amassi e facessi
insieme penitenza de' tuoi peccati, mortificando il tuo senso sfrenato? 1° Peccatore: Un verme mi rode l'intimo delle viscere, un'angoscia
m'assale: così malvagiamente agendo, secondo la moltitudine de' i
peccati, nell'inferno mi par di andare.
E qui più grave sarà il castigo se oltre la giusta pena avrò dippiù
anch'io un maggior danno di veder chiusa in faccia per sempre la porta
della Misericordia di Dio. Fiacca è però la mia volontà e incapace
son ora di compiere le buone azioni. Di null'altro sono capace se non di
chieder a te dei lumi!
San Carlo: Convertiti, figiuol mio, a nuova vita e rifletti sulla
questione che io ti pongo: A che, dimmi, ti avrà giovato l'esser stato
uomo di gran sapere e stima appresso il mondo, e quando vedrai perduta
per sempre la memoria del tuo nome, la gloria, gl'onori, li titoli, le
dignità, e svanita ogni cosa come un fumo? Misero, che fai? Che pensi?
Pensi tu forse con la tua potenza e forze del tuo valore superare la
divina giustizia? O con il tuo tesoro scampare dall'inferno? Nulla vale
il tuo sapere, la forza, l'armi, le genti e le ricchezze! 2° Peccatore: So ben io che vano è il mio pensiero e senza
fondamento è la mia speranza se ostinato continuerò sulla via del
peccato. Dimmi allor, mio caro frate, quale erbaccia immonda debba io
per primo estirpare per poter nuova vita principiare! San Carlo: D'apprincipio
in Dio devi confidare, a Lui solo la Speranza tua affidare! Tutte le
creature inabili e senza valore alcune sono esse tutte di fronte a Dio
Onnipotente: E' Lui il creatore e Signore di tutto, dal quale hanno vita
e mantenimento tutte le cose. 2° Peccatore: Nel mio cuor subito metterò nuova fede in Dio, a lui
sol sarà rivolta la mia speranza. 1° Peccatore: Dimmi ora, padre mio carissimo, di quale agir
malvagio mi debba io purgare per cominciare e praticare nuova condotta. San Carlo: Lascia, lascia ormai la tua sciocca e perversa opinione,
cessa dall'impresa dell'amor profano et attendi alla virtù et all'amor
puro e santo. L'amor vizioso e profano oscura l'anima e la riempie
d'immondizie, facendola odiosa davanti al suo sposo Iddio. 2° Peccatore: Parlaci, dunque, consolatore benigno, di questo santo
Amore, onde anche noi umilmente lo possiam conoscere e praticare! San Carlo: L'Amor Santo è il divino affetto che lega la creatura al
suo Creatore, che essa coniunge con il suo sommo sposo: tale amor
luminosa e bella rende l'anima nostra e la conduce all'eterno gaudio con
il suo benigno sposo. 1° Peccatore: Esplica ancora, o padre spirituale, questa somma
verità giacché d'amor profano ripieno mi sento. Guai e amaritudini
esso mi cagiona. Inabile e ritroso a seguir le divine ispirazioni io
sono. Donami la forza per avviarmi verso questo amor! San Carlo: L'Amore Santo, benigno verso l'anima assetata, la colma
di perfetta pace, di consolazione, di gaudio e di perfetto timore onde
ella vada verso l'amorosa esecuzione. L'Amor di Dio, il Santo Amore
appartien a uomini savii, di santo giudizio, di fede viva, di salda
speranza e di carità perfetta. 2° Peccatore: Quali uomini mai sono questi predetti e quali saldi
giudizi hanno in cuor essi? San Carlo: Gli uomini posson d'apprima esser appellati tali tutti
quelli che umilmente riconoscono il bene che li fa il Signore e con
somma gratitudine lo servono. Essi non fanno come li seguaci del mondo e
dell'amor profano, la cui memoria dura poco ed è di poco conto. Degli
empi invero non resta alcuna memoria, mentre eterna e senza fine è
quella dei seguaci di Cristo. 2° Peccatore: Perdonate il mio ardire, o dolce padre, s'io ora mi
sento di dover obiettare: grama et infelice non sembra affatto degli
empi la vita mondana e tutta nei piaceri essa li avvolge. San Carlo: Tal volta parerà forsi che li seguaci del mondo abbiano,
in ricompensa delli loro servizi, ricevuto dal mondo stesso qualche o
assai numeroso benefizio in ordine all'onore e vivere umano, ma in ciò
essi s'ingannano all'ingrosso: sappiano, costoro, che non fu l'impotente
mondo ma fu l'Amor Santo, cioè Iddio, ad operare in loro questi
benefici. Tutto al fine che essi riconoscessero con gratitudine la sua
infinita bontà, l'amassero come loro Signore e lasciassero la mala vita
passata, menandone una vita nuova. Talvolta infine la felice ricompensa
terrena fu per pagamento di qualche opera buona da loro fatta in questa
vita. 1° Peccatore: Davvero grande è questo Santo Amore e sempre più
sete io ho di tal mistero sentire. Parlaci ancora, consolatore della
nostra afflizione, di come tal amore santo appare. San Carlo: La bontà e la liberalità di Dio non meno risplendono in
tutte le cose create: invero Iddio, oltre che l'averci creati a sua
perfetta somiglianza, ha voluto vestirsi della nostra propria carne,
ricomprandoci col proprio sangue dalla schiavitù del peccato e di
satana. 2° Peccatore: Quali altri doni ha Iddio Santo a noi donato, quali
altre vie ci ha indicato per raggiungerlo nel suo divino stato? San Carlo: Iddio Santo, oltre che sconfiggere il nostro male, una
santa dimora ha voluto a noi dare. Invero egli ci ha posti nel grembo
della nostra santa madre Chiesa, adornata ed
arricchita dei santi sacramenti e dei divini precetti. 1° Peccatore: Che pensi ancor, o dolce frate, di tutte le cose
create? Ognuna di esse porta con sé un segreto che ancor più il mio
spirito agita inquieto. San Carlo: Infiniti cieli sopra di noi sovrastano: l'aere e lo
spazio infinito ricoprono maestosi. Inver l'Amor Iddio creò ancora
questi cieli carichi di luminose stelle con due luminari bellissimi, a
noi noti e cari: il sole e la luna. Per sostentare noi, poi, di ogni
sorta di frutti l'Amore Sacro creò la terra adornata di fiori, d'acque,
di pietre e di piante diverse. La Maestà di Dio infine, di ogni sorta
di animali adornò la nostra terra, facendola feconda e carica di ogni
bene. 2° Peccatore: Or ora a noi la via sembra della salvezza chiarirsi
ma dimmi, fra' Carlo, di quant'altro ancor dobbiamo nutrirci per
raggiungere l'Amor Sommo e solo lui praticare. San Carlo: Questo solo vi dovrebbe bastare e farvi odiare e lasciare
il peccato e l'attaccamento all'amor vizioso e profano. In esso tutta
sta l'affezione e l'amor delle creature contro la volontà di Dio. O
infinità Carità! O ingratitudine degli uomini ostinati e duri nel
peccato! Solo questo vi dovrebbe bastare ad infiammarvi tutti di questo
Amor divino, santo e verace, seguendo con animo intrepido e costante i
suoi santi precetti. 1° Peccatore: Finalmente ora io ho, dolce consigliere, inteso e da
te appreso la giusta maniera di cristiana vita ma, perdonami (se
commosso interiormente e, come penso questo tal mio compagno,
risolutamente disposto a lasciare il peccato) umilmente ancor ti chiedo,
per meglio seguir la virtù, quali particolari vie d'amor dobbiamo
conoscere. Insegnaci minutamente ciò che dobbiamo fare per lasciare il
peccato e ritrovare il Santo Amore. San
Carlo: Uno è l'Amore, tre sono le vie. Tre spirituali percorsi
bisogna con fede affrontare: ·
Purgativa è la prima
via, in cui potrai la tua vita purgare dai sozzi vizi e dalle male
inclinazioni. In essa son d'obbligo esercizi di mortificazione del corpo
e del senso. Rimuovi le immagini nocive e riempiti di santi desideri. ·
Illuminativa è la
seconda strada, in cui potrai levare dall'intelletto le sue tenebre e
riempirlo delle acquistate virtù. ·
Unitiva , alfine, è
la terza via, l'ultimo e sommo percorso santo, in cui potrai spogliare
del tutto la tua volontà del profano amore e rivestirla della carità e
del Santo Amor di Dio. In essa è d'obbligo il perfezionare le virtù e
la pratica del Santo Amore in una adeguata vita attiva. Così
ben adornato, allora, con più facilità potrai passare al riposo della
vita contemplativa, dove in carità ti ricorderai di pregare per i vivi
e per i morti. Acciò si degni d'aver misericordia e perdonarci i nostri
peccati. Lo
Spirito ci illumini e sia la nostra guida. Amen!
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