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Passione di Cristo 1957 |
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Accensione lampade Votive >> Articolo anno1972 >> La biografia di V. Venditti >> L'articolo che segue, e tutta la ricerca su don Vincenzo Venditti, è frutto del lavoro di Carlo Luigi Abbenda Nell'anno 1957 , precisamente il giorno 7 di settembre, la Sacra Rappresentazione della "Passione di Cristo" di Sezze Romano , già svoltasi la sera del Venerdì Santo , venne ripresentata, soprattutto per fini turistici , nel suggestivo complesso dell'Anfiteatro setino, da sempre ritenuto quasi un alveo naturale per lo svolgimento scenico di questo sacro dramma . Per tale motivo l'Associazione della Passione di Cristo sollecitò il compianto don Vincenzo VENDITTI a voler preparare un compendioso nonché agile commento che molto avrebbe potuto giovare al buon successo della manifestazione, anche per fornire un'esatta informazione ai turisti che si accingevano ad accorrere in massa a Sezze per questo singolare evento religioso. Tale commento storico-religioso era ancor più ritenuto necessario in quanto si prevedeva un servizio radiofonico di presentazione di questa turistica manifestazione.
A memoria di don Vincenzo VENDITTI., ed a beneficio di quanti gradiranno e sapranno apprezzare , pubblichiamo tale discorso ripescato dall'oblio dei secoli, con cui riecheggerà forse la calda ed appassionata sua voce : |
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Il Sacro Mistero della Passione di Cristo" Alla propaggine del dorsale collinoso svetta bruscamente il " Semprevisa" , che viene a segnare la cresta di displuvio tra le terre degli Ernici e la fascia dell'antica "Campagna e Marittima". I tre splendidi doni della vita: cielo, mare monte, vengono a stringersi, in uno scenario d'orizzonte dilatato, su un colle scabro, calcareo, dalla roccia aspra e martoriata, come le case di pietra e le piante aggrappate, quasi con spasimo d'agonia, tra le fessure dei massi. Veduta spettacolare scenica, e bruciante aridità di vegetazione, confluiscono come in simbiosi preordinata sul colle alquanto distaccato dall'abitato, e ad esso contermine: la vetta del "Gallo", su cui splende, ricamo di passione e di gloria, la Croce. E' il segno in cui la virtù dei contrasti si addolcisce, si distende, e il mistero sacro della Passione di Sezze si rivela, nel profondo. All'angolo destro del colle, lungo la fettuccia rettilinea dell'Appia, palpitano di memorie il "Forum Appii" e le "Tres Tabernae" , dove i primi cristiani vennero ad incontrare l'Apostolo delle Genti , in cammino per Roma. Fu qui che Paolo , riguardando il masso calcareo su cui Sezze adagiava le mura poligonali dei templi, mandò il " carissimus comes " di peregrinazioni, l'evangelista San Luca, ad annunziare il Vangelo, o Buona Novella, alla vigesima colonia dei Romani (Sezze). E lo scriba della mansuetudine di Cristo dirozzò per la prima volta cuori ed anime, facendo risuonare il Verbo della Passione e della Resurrezione del Maestro, col tocco di morbida e affettuosa levigatezza che è proprio della grazia ellenica. Così il concetto della forza divina superatrice del mondo, nel trionfo finale della croce, si mantenne come promessa nel turbinio delle età barbariche, finché ebbe modo di svilupparsi a vita rigogliosa con la venuta nelle Paludi Pontine di Lidano d'Antèna , odierna Civita d'Antino nel marsicano, che, rampollo di feudatari, vendute le avite ricchezze, le destinò alla costruzione d'una basilica e d'un monastero nel cuore delle Paludi. Il santo vi divenne padre di molte genti per lo spazio di più di settanta anni e finì "patrono" del paese. Fu il secondo miracolo spirituale. Conforme al costume dei padri, la preghiera e il lavoro trasformarono, per un vasto raggio di zona, la plaga infetta, finché, distrutto il monastero ad opera di Federico II , ai cenobiti sottentrò il nuovo spirito democratico degli ordini mendicanti, portatovi nel tempo dal francescanesimo nascente. Gli storici locali fanno cenno di una venuta in Sezze del " Poverello", come anche del " Giglio di Padova", di San Bonaventura, e di molti altri ancora, facendo appello alla tradizione, non però sufficientemente suffragata dai documenti coevi e posteriori; comunque non del tutto trascurabile, se si pensi che il setino cardinale Leone Brancaleone ebbe tenerissima l'amicizia co San Francesco, come ne fa fede lo stesso Luca Wading. Certo lo spirito francescano alle sue origini s'impossessò del colle pontino, e alla devota salmodia monastica successe e s'unì il coro dei laudesi umbri, soffuso dell'alto pathos dello "Stabat Mater" e del pianto di Iacopone. Era il seme del movente devozionale della Passione, della processione liturgica del Venerdì Santo; ed era altresì l'inizio d'una serie carismatica di privilegi sulle anime più elette di Sezze idealmente francescana. Fra queste la venerabile Caterina Savelli, che aprì un Seicento beato, degnata di ricevere le stimmate della Passione nel cuore e nelle membra, come già San Francesco sulla Verna. E quando già la pia vergine fioriva, un'altra anima era destinata a ricevere, sebbene parzialmente, le stimmate, nel cuore: il beato (*) Carlo da Sezze , dei Minori, vissuto in pieno Seicento (1613-1670) sul cui capo s'attendono gli ultimi atti per la glorificazione suprema ( * n.d.r.: canonizzato nel 1959. A due anni dalla stesura di questo discorso) . Questo nobilissimo figlio della terra laziale, che al contatto della croce, ancor fanciullo, aveva rinfrancato le membra languenti, ed estasiato innanzi allo spettacolo processionale del Venerdì Santo divorava di baci un libro in versi sulla Passione, diffuso tra il popolo, sarebbe stato il rinnovatore, anche se tardo epigono nella continuità iacoponica, della gloria della croce, anima del mistero sacro di Sezze. Tutte le sue opere, in prosa e in versi, da "Le Tre Vie..." ai "Sacri Settenari...", dal "Cammino Interno..." ai "Canti Spirituali...", per restare a quelle edite, sono l'espressione la più realistica, immediata, del sentimento popolano, filtrato nella non mai interrotta tradizione benedettina e il costume francescano, che di tutto un popolo avrebbe forgiato una tempra di artisti laudesi. E dopo che Michelangelo aveva chiamato una donna setina a modello della "Pietà Rondanini" , e il Lanfranco aveva eternato nel quadro della Vergine degli Angeli una fanciulla del più puro tipo etnico laziale, il Seicento beato, avviandosi all'ultimo sprazzo di gloria locale con il setino porporato P.M. Corradini, rimirava la maestà della Passione nell'interminabile teoria di Confraternite e gruppi sacri che accompagnavano, per gli stretti crocicchi del paese, il Cristo "Morto" e il pianto dell'Addolorata. Un relitto, fermento vivissimo delle Sacre Rappresentazioni, che il dottor Filiberto Gigli, ai nostri giorni, ha voluto scenograficamente dilatato in un'altra manifestazione di Fede, risalendo alle origini dello stesso teatro di popolo. Un gesto ardito, che subito trovò incondizionato appoggio in alti esponenti della cultura ed arte: da Beniamino Gigli a Marta Abba e Claudio Muzio; da Govoni e Refice al candido ottuageniario Perosi e Rosso di San Secondo, ed altri molti. L'ardimento lungimirante dell'Alto Commisario al Turismo, on. Pietro Romani, chiamò a Roma nell'anno giubilare 1950 la processione della Passione di Sezze, perché si snodasse nella ieratica cornice dei Fori Imperiali. fu un trionfo memorabile. Sfolgorò nella umanissima commozione degli attori il mistero sacro, e si prenunziò maturo l'evento per raccoglierlo nella cavea immensa a ridosso del "Monte del Gallo". Ora questa cavea attende il popolo di Dio, per ricordargli, nella linea compositiva del paesaggio agreste, l'agonia del Verbo, e, nel trionfo finale delle migliaia di luci proiettate nella piana pontina ,il trionfo secolare della Chiesa, ancorata al suo capo, Cristo "Resurrectio et Vita".
Vincenzo VENDITTI
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