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Passeggiate archeologiche |
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> 16 dicembre 2012: 5a tappa del Gruppo “In difesa dei Beni Archeologici” a cura di Vittorio Del Duca, Ignazio Romano, Roberto Vallecoccia In 27 alla "Pietra del Tesoro" Tra storia, leggenda e tradizione La visita alla “Pietra del Tesoro + Fonte della Chitarra + Grotta carsica rifugio” è di interesse storico e ambientale su un percorso di soli 2 Km accessibile a tutti e con la durata di circa 2 ore. L'appuntamento è per domenica 16 dicembre alle ore 9,30 nel Piazzale dell'Anfiteatro di Sezze. Si consiglia di indossare scarpe da trekking o scarpe da
ginnastica antiscivolo, abbigliamento comodo, K-way (zona ventosa),
torcia tascabile per chi vorrà entrare nella grotta. Le
pietre che aspettano di essere ascoltate Dopo aver osservato da lontano quello che resta della villa romana di Via Piagge Marine, si parte per la visita alla Pietra del Tesoro, ma c'è chi si è accorto di noi, e sente il dovere di darci le ultime indicazioni. Sono due persone anziane che la Costa delle Mole l'hanno percorsa per una vita intera, ed ora sono preoccupati che questi "frammenti di storia" possono scomparire per sempre. La Pietra del Tesoro, dopo 1800 anni di storia, sessanta anni fa si è fatta da parte per dare spazio ad un nobile progetto: "La Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo". Nel 1952 viene posata la prima pietra del Teatro Sacro, il "grande anfiteatro di Sezze" come scrivevano i giornali dell'epoca, effettivamente fulcro del più grande progetto di sviluppo turistico della nostra provincia. Lo si è chiamato in tanti modi, Teatro Sacro, Teatro Greco, Teatro Italiano, oggi sulle pagine di cronaca dobbiamo leggere "ecomostro", e nessuno ha capito come è potuto accadere. Ma la Pietra del Tesoro è sempre li, anche se facciamo fatica a capirne il valore, questa testimonianza storica ha attraversato i secoli per arrivare fino a noi, oggi il nostro compito è quella di non dimenticarla ed imparare dal passato a rispettare la natura. Intanto la nostra passeggiata continua, ed in pochi minuti arriviamo ad una piccola spianata (forse una cava litica servita per le numerose ville sottostanti), e poi alla Fonte della Chitarra (forse un altare sacrificale di età arcaica) ed in fine alla grotta carsica detta di Fra Giuseppe (si dice abitata fino agli anni '50 da un eremita). Rocce che parlano e che nel passato hanno dato origini a tante leggende, rocce che ora aspettano di essere interpretate. Noi, con il panorama della pianura Pontina ai nostri piedi, concludiamo la passeggiata con la visita alle opere di contenimento, sparse su tutta la collina, probabilmente costruite tra gli anni venti ed il primo dopoguerra. Quello che segue è il fotoracconto della 5a tappa In difesa dei Beni Archeologici Descrizione percorso: La "Pietra del Tesoro" volgarmente chiamate Preta degli Trasoro, è una stele di roccia naturale alta circa 4.5 m che si trova lungo l’antica mulattiera che dall’Anfiteatro di Sezze raggiungeva il lago delle Mole Muti. Sulla stele è incisa un’iscrizione funeraria dedicata al Caio Licinius risalente al I secolo d. C. (H. H. Armstrong fa risalire l’iscrizione all’età repubblicana in base alla tipologia di caratteri usati). Secondo la tradizione sotto il pretore Licinius fu martirizzata Santa Pareasceve(1). L’iscrizione
ha da sempre fatto parte della cultura popolare di Sezze, almeno fino al
primo dopoguerra quando l’antico tratturo è stato abbandonato a causa
dello sviluppo del trasporto su gomma. Da quel momento è iniziata a
perdesi la memoria collettiva. Successivamente
il tratturo è stato interrotto dal muro di cinta realizzato dalla Provincia
di Latina per circoscrivere l'area di quello che ancora oggi è conosciuto
come Anfiteatro, chiuso al pubblico da più di vent'anni. Dopo la stele della Pietra del Tesoro, proseguendo verso est per qualche centinaio di metri, si raggiunge la Fonte della Chitara(2). Secondo
la tradizione un pastore sezzese, quando a Sezze arrivava il mare, si
innamorò della figlia di un pescatore che non volle sapere di darla in
sposa al pastore. Per
la disperazione scolpì sulla roccia una chitarra affinché l’acqua
che ne sgorgasse cantasse per il suo perduto amore. Dopo la Fonte della Chitarra, continuando ancora a camminare verso est, si incontra l'ingresso di una grotta carsica dove durante la seconda guerra mondiale trovarono rifugio alcune famiglie di Sezze. Entrando nella caverna ci si può rendere conto delle condizioni di vita degli sfollati. (si
consiglia una torcia
tascabile). Nelle foto la precedente visita (29 maggio 2011) del Gruppo "In difesa dei Beni Archeologici" (1)
Santa Parasceve
tra storia e leggenda In località Piagge Marine, dopo aver attraversato la parte ad est dell’Anfiteatro, su di un masso isolato alto m. 4,55, si trova, in riquadro, l’iscrizione sepolcrale corrosa del tempo, che ricorda C. Licinius Asclepiades Medicus, conosciuto anche come Asclepia o Asclepio, medico e prefetto dell’antica Setia (1). Più fonti (2) attestano che un personaggio con tale nome è stato prefetto della “città” in cui avvenne il martirio di Santa Parasceve, nel160 d.C. sotto l’impero di Antonino Pio, senza alcuna precisazione del nome della città. Secondo il Lombardini, (3) invece, tale città sarebbe Sezze, perché desunto da opere di “ bollandisti e scrittori degli atti dei martiri cristiani” che però hanno scritto molti secoli dopo il martirio (4), ed infatti definisce Paresceve “giovanetta setina”. Il luogo del sepolcro di Asclepio fu chiamato dal popolo “la prèta glì trasòro” (pietra del tesoro) forse perché, come afferma lo stesso Lombardini (op. cit), “la tomba devastata e frugata abbia accreditata la credenza, o per l’iscrizione, che per il volgo ha un significato arcano”. Un ringraziamento particolare va agli amici Fabrizio Paladinelli e Vittorio Borsi che nel maggio 2011, dopo alcuni giorni di ricerca, hanno rinvenuto la Pietra del Tesoro nascosta tra i rovi. Riguardo al personaggio, lo stesso autore ribadisce: “questo eccentrico Asclepiade, senza tema di errare, ritengo sia esistito ai tempi di Antonino Pio, nei quali a ciascuna città fu addetto un maggiore o minor numero di medici secondo il bisogno, eletti e stipendiati dalla città stessa.” Non esistono però fondamenti certi che l’iscrizione sepolcrale sia del II secolo dopo Cristo, cioè del tempo di Antonino Pio, perché l’Armstrong (1) la farebbe risalire al periodo repubblicano a causa del carattere delle lettere, ma in questo caso si tratterebbe di un altro prefetto con identico nome. Coincidenza veramente singolare, per quanto inverosimile, considerando i tre nomi di Asclepio! Tanto meno possiamo spostare l’epoca del martirio di Santa Parasceve, perché tutte le fonti sono concordi nell’affermare che avvenne sotto l’impero di Antonino Pio. Non esistono neanche fondamenti certi che Santa Parasceve fosse setina, o che la sua famiglia possedesse dei beni a Sezze ed infatti diverse città del sud ne rivendicano la cittadinanza, soprattutto Locri, il paese natale del padre, ma la maggior parte delle fonti concordano sulla sua nascita a Roma, nel II secolo d.C. Sappiamo per certo che santa Parasceve venne al mondo all’epoca dell’imperatore Adriano, da ricchi genitori cristiani, Agatone da Locri ed Ippolita, che ne avevano ottenuto la nascita con le preghiere, dopo 35 anni di matrimonio. Alla loro morte Parasceve vendette i beni ereditati e distribuì il ricavato ai poveri; si ritirò in preghiera in un convento di Roma, che dopo qualche anno lasciò per predicare pubblicamente la dottrina cristiana. La predicazione della dottrina da parte di una donna, per giunta contraria a quella impartita dalla religione ufficiale, provocò l’ira dei giudei che la denunciarono all’imperatore Antonino Pio. Da questo momento iniziano le sue persecuzioni, ma anche le vicende miracolose e leggendarie che segnarono la vita della santa. L’imperatore, per punirla, fa riscaldare sulla fiamma, fino a renderlo incandescente, una specie di elmo metallico che i carnefici le pongono sul capo, senza provocarle alcun danno. In molti, vedendo questo prodigio si convertono. Riportata in prigione, un angelo la libera dalle catene, ma ricondotta dall’imperatore viene appesa per i capelli mentre i carnefici ne tormentano il corpo con fiaccole accese, sempre senza provocarle alcun dolore. Così viene preparato un gran pentolone pieno d’olio e pece bollente in cui viene fatta immergere, ma rimanendo indenne alla tortura, Parasceve spruzza questo liquido bollente sugli occhi dell’imperatore Antonino, che poi ella stessa guarirà dalle piaghe. L’imperatore, visto il prodigio, si converte al cristianesimo e si fa battezzare (5). Nelle more delle sue predicazioni, giunse “in una città” che secondo il Lombardini sarebbe Setia, dove era prefetto un certo Asclepia o Asclepiades (6), che la interroga sulla sua religione e rimanendo turbato dalle sue risposte, la fa condurre fuori dalla città in una grotta abitata da un terribile drago. La santa traccia un piccolo segno di croce e la bestia ruggendo si squarta in due: a questa vista Asclepio ed altri testimoni si convertono e vengono da questa battezzati. Santa Paresceve e Porta Pacis Belli in una tavola del Corradini Se l’incontro di Parasceve con l’Asclepio setino fosse autentico, non avrebbe trovato luoghi migliori di Sezze, soprattutto se immaginiamo che costui, una volta convertito alla religione cristiana, avrebbe potuto manifestare il desiderio di essere sepolto là dove aveva assistito al prodigio della santa, cioè in quel masso isolato, misterioso e leggendario che il popolo chiamerà la “pietra del tesoro”. Se così fosse stato, a pochi passi dalla pietra del tesoro esistono delle grotte carsiche (7) capaci di aver evocato nell’immaginario del popolo, fantasie e leggende come quella del drago: la bestia mostruosa ed orrenda, simbolo del male, che nelle antiche leggende ricorre sovente come guardiana di presunti tesori. Così è, ad esempio e tanto per rimanere a Setia, nella storia di Giasone ed il vello d’oro, raccontata nelle “Argonautiche” dal setino Caio Valerio Flacco. Parasceve continuò le sue predicazioni e giunge ancora “in altra città” governata da un “tale Taresio”, che la fece decapitare dopo altri supplizi, per aver ingiuriato Apollo davanti al suo tempio. Su questo tempio i cristiani eressero in seguito la chiesa ad essa dedicata. Alcuni fatti veri, soprattutto la presenza nell’antica Setia di un prefetto di nome Asclepio, la chiesa di S. Parasceve costruita sul tempio di Apollo (8) ed altri fatti immaginari potrebbero accreditare Sezze come la misteriosa “altra città". Manca però un governatore di nome Taresio e tanto meno abbiamo elementi per affermare che si sia trattato di uno pseudonimo di Asclepio. Il nome Taresio nella storia è molto vago, appare errato oppure come storpiazione di L. Taurio, un personaggio esistito al tempo della guerre civili di Roma e anteriore alla grande battaglia di Azio del 31 a. C. (9). Anche la vita della Santa è avvolta dal mistero, essa è stata oggetto di non meno di quindici “passiones” e di un “elogio” riportati in manoscritti , quasi tutti anonimi, redatti tra l’XI e il XVI secolo; i maggiori particolari sulla sua storia sono stati ricavati dall’elogio scritto da Giorgio Acropolita nel sec. XVI. Il culto di santa Parasceve, chiamata anche santa Venera o santa Veneranda, è stato di grande popolarità in epoca medioevale in tutto il centro sud e ciò spiegherebbe la costruzione a Sezze della chiesa ad essa dedicata, risalente al XI secolo, anche se sembra esiguo o inesistente il numero dei devoti che ha voluto assumerne il nome, al pari degli altri santi. Per gli studiosi di avvenimenti sacri (10) due particolari, tra gli altri, risultano del tutto inverosimili: l'esistenza di un monastero femminile a Roma nella seconda metà del sec. II, e la pubblica predicazione del Vangelo ad opera di una fanciulla, cosa discordante coi costumi dell'epoca e contraria al divieto fatto da S. Paolo alle donne di predicare la parola di Dio.
Note Oggi la più antica chiesa di Sezze è coperta dalle auto in sosta, in un luogo "Porta Pacis Belli" dove per secoli sono stati sanciti gli atti più importanti della città, e dove i sezzesi accoglievano il nuovo vescovo (2) La "fonte della chitarra" e il canto del pastore innamorato Una antica leggenda
sezzese, si salva grazie al racconto di Marcello Battòcchio. |
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