La
convinzione che soltanto conoscendo la propria storia, la propria vita e
il proprio passato si può ben progettare il proprio futuro.
28 ottobre 2016
Si è spento ieri all’età di 86 anni Antonio
Campoli, avvocato, poeta, saggista e grande memoria storica della città di
Sezze, in tutte le forme possibili e immaginabili. Nato il 4 agosto 1930 e laureato in giurisprudenza all’università di Roma, Campoli è stato pubblicista, ordinario di lingua francese, e ha retto il Mandamento di Sezze per più di dieci anni, mettendosi al servizio della giustizia come pretore negli anni ‘70. L’opera svolta per la comunità, la lotta instancabile contro la delinquenza e contro gli abusi edilizi, gli hanno fatto meritare l’appellativo di “Pretore d’Assalto”. Dal 1980 ha indossato definitivamente la toga di avvocato. Stimato per la sua serietà e lucidità, con la sua esperienza di avvocato e di pretore, ha acquistato una profonda conoscenza dell’umanità popolare.
Tale ricchezza interiore, Antonio Campoli l’ha profusa da sempre nelle sue opere, nelle sue poesie, in tutti i suoi scritti, centinaia. Poeta serio e lucido, scherzoso e riservato, curialesco ed umile, comunque sempre ricco di umanità, portatore di un rapporto vivo con la sua
Sezze, intenso con le persone, anche le più umili, rispettate sempre nella loro dignità umana. Nella sua lunga carriera ha collezionato una infinità di premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio di Poesia Città di
Sezze, il Trofeo dei Lepini, il Premio biennale di Norma, il premio biennale Attilio Taggi di
Sgurgola, il Premio Simpatia al Campidoglio, il Premio Nazionale “Latina Tascabile”, il premio letterario internazionale di Segni. Per diversi anni è stato presidente centro studi “Titta Zarra”. Recente il riconoscimento di
Martufello, che durante uno spettacolo ha letto diverse sue poesie. I funerali si svolgeranno oggi pomeriggio alle 15 nella concattedrale di Santa Lucia.
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Antonio
Campoli è nato a Sezze. Si è laureato in Giurisprudenza all'Università
di
Roma
"La Sapienza". E' iscritto all'Albo Professionale dell'Ordine
degli Avvocati
di
Latina dal 1959 e all'Albo Professionale degli Avvocati Cassazionisti
dal 1980.
Abilitato
all'insegnamento di Lingua e Letteratura Francese ha insegnato dal 1960
al
1983.
In
campo giornalistico, quale Pubblicista, ha collaborato a diversi
giornali
quali:
Il Travaso, Gioventù, Corriere dello Sport-Stadio,
Il Comune Oggi,
Nuova
Informazione, Il Lavoratore Comasco. E' autore di tre
volumi di
poesia:
La Fontana di Pio IX, Tibbo Tabbo, e La
Calandrella, editi dalla
Angeletti
Editore. Come coautore, ha messo la sua firma sui volumi Sezze che
scompare
e Il dialetto di Sezze opere di Luigi Zaccheo e Flavia
Pasquali.
E'
stato presidente della Banda Comunale di Sezze, attuale presidente del
Centro Studi Titta
Zarra,
vice presidente del Bonsai Club di Sezze, vice presidente del Distretto
Scolastico
n.
47 e Pretore Reggente del Mandamento di Sezze e Bassiano dal 1969 al
1979.
Oltre
alle novelle, ai racconti, alle monografie e agli studi del mondo
contadino,
alle
usanze e alle storie antiche e moderne su Sezze, ha scritto opere
teatrali di fondamentale importanza quali Livio va in pensione, I
due compari, Un giorno in Pretura, Una vincita al
totocalcio e Studio Legale.
Nella
sua non breve carriera, Campoli ha collezionato una infinità di premi e
riconoscimenti; basti ricordare il Premio di Poesia Città di Sezze,
il Trofeo dei Lepini, il Premio biennale di Norma, il premio biennale
Attilio Taggi di Sgurgola, il Premio Simpatia al Campidoglio, il Premio
Nazionale " Latina Tascabile", premio letterario
internazionale di Segni.
Campoli
lascia di sé una immagine indimenticabile. Ha operato attivamente ed
instancabilmente contro la delinquenza, contro gli abusi edilizi
meritandosi l'appellativo di "Pretore d'assalto".
Attualmente svolge la sua professione di Avvocato e passando dall'altra
parte della barricata, si è messo al servizio dell'umanità sofferente
e bisognosa di Giustizia. Stimato per la sua serietà e lucidità,
profonde la sua ricchezza interiore
nella
sua attività, nelle sue opere, nelle sue poesie e in tutti i suoi
scritti.
La sua ispirazione è pregevole il suo lirismo è misurato, scherzoso, riservato ma soprattutto, dialogo immediato di una volontà narrativa che riflette il suo legame con la gente e i luoghi della sua terra. Campoli ha scelto il dialetto di Sezze e ci narra ora con lirismo digiacomiano ora con la plasticità belliana, ora con la malinconia e la memoria di Trilussa, il trascorrere delle stagioni e della vita, i segni del tempo sulle cose e sui volti, le storie dei sezzesi, le voci dei suoi paesani, i fatti di quelle donne e di quegli uomini semplici e veri, le storie di carne e di sangue dai cuori teneri ed aspri di corpo robusto e di passioni tenaci. Campoli vive la sua poesia con quei toni ammiccanti e simpatici e con quella vena di ironia che resta discreta e composta. La sua poesia offre refrigerio con una freschezza ariosa che sembra spruzzo di fantasia carezzata dalla mano delle buone maniere a dalla filosofia nel rispetto per la sincerità interiore di Campoli in cui l’equilibrio intellettuale collima con lo specchio della sua anima.
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Antonio Campoli
alla presentazione del libro
"San
Carlo e il suo dialetto" 13
aprile 2002
Con la sua vastissima opera di poeta e di uomo di cultura Antonio Campoli ci
ammonisce ricordandoci che il suo impegno letterario non è affatto un
elogio del tempo passato, ma rappresenta la convinzione che soltanto
conoscendo la propria storia, la propria vita e il proprio passato si può
ben progettare il proprio futuro.
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Poesia
di Franco Abbenda
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Alita nell'opera di Campoli un refolo della sua fantasia
svariona, scanzonata, frizzante che traduce un temperamento propriamente "
classico”.Campoli è il più prolifico poeta dialettale lepino contemporaneo e senz'altro il più equilibrato e coerente il quale ora fa il verso di Orazio, ora nei componimenti ove si celano le battute o l'aforisma, prende da Marziale.
Il suo dialetto ha una sostanzialità antica ove la parola morbida, polposa, gustosa come un frutto indeiscente rinserra un seme acidulo di sorridente e cattivante ironia nient'affatto tossica.
Campoli ha il gusto del dire, del parlare, del ricercare un dialetto arcaico, che, a volte, può apparire aspro, ma che è l'espressione di una antichità apparentemente storia di cui
rivendica la dignità di cultura pienamente vissuta, di cui gusta il sapore attraverso la frase breve e densa, corrispondente alla lingua di una tradizione contadina e paesana che l'erudito non ha rinnegato ma ha arricchito e vivificato attraverso la padronanza di strumenti culturali diversi dalla tradizione orale. Campoli è poeta serio e lucido, scherzoso e riservato, curialesco ed umile, comunque sempre ricco di umanità, portatore di un rapporto vivo con la sua Sezze, intenso con le persone, anche le più umili, rispettate sempre nella loro dignità umana.
Perché
le tessere originali più preziose che affrescano il grande mosaico del
linguaggio palpitante del popolo di Sezze non andassero perdute e non
cadessero nell'oblio, era necessario e doveroso rendere i giusti meriti
e indiscussi riconoscimenti ad Antonio Campoli che ha nel suo cuore,
come tutti i cittadini degni di questo nome, la Sezze immortale, la
Sezze sospesa negli spazi celesti, la Sezze di antica e nobile stirpe,
la Sezze piena di fascino. Al poeta che ha cantato la nostra terra nelle
sue infinite sfaccettature, al poeta vivace, colorito, ricco di umanità
pieno di inventiva, rapido nella battuta, dolce nel sentimento amoroso e
profondamente partecipe nel dolore, va questo riconoscimento.
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Articolo
scritto per la rivista mensile di attualità-ambiente e cultura Nuova
Informazione, ottobre 2016
Antonio
Campoli- La sublime arte dell’ironia.
Sezze,
29 ottobre 2016 di Vincenzo Faustinella
Con
la stessa serenità mostrata in vita, Antonio Campoli, Cittadino
Benemerito di Sezze, se n’è andato. Va detto subito che, in quella
benemerenza, non c’è solo un riconoscimento dovuto e meritato, ma è
racchiuso tutto il suo vivere, conoscere e aver saputo trasmettere
suoni, voci, colori e odori di questa nostra Terra che ora l’accoglie
con il soffice calore materno riservato ai propri figli.
Non
vorrei essere banale e ricordarlo con il solito “coccodrillo”
giornalistico, utile soltanto a ripetere ciò che già sappiamo di lui,
della sua professione di uomo di legge, di insegnante; della sua
produzione di sonetti e opere teatrali, ballate, stornelli, serenate,
canti alla poeta, canti a dispetto in dialetto di Sezze; dei suoi
racconti che narrano le tante “Storie di Paese”, della Sezze che
“C’era una volta” e oggi non c’è più. Che poi, a dire il vero,
non esiste più nella realtà, ma rimane, appunto, nei suoi scritti che
hanno reso indelebile la cultura di un popolo, le sue tradizioni, le sue
passioni, i suoi drammi, le tante curiosità, l’aneddotica. Insomma,
la sua storia millenaria che il tempo ha cercato in ogni modo di
spazzare via, ma senza riuscirci grazie a chi, come Campoli, quel tempo
lo ha saputo fermare ed imprimere nella memoria collettiva usando “la
sublime arte della parola scritta”.
La
Cultura popolare di Campoli ci viene descritta senza perdersi nelle
teorie scientifiche di un Tentori, di un Krober, di un Radcliffe Brown,
ma con un forte e sapiente senso satirico, con una composizione lirica
che attinge dal vissuto, che fuoriesce attraverso una vena poetica
innata (anche suo nonno, Vincenzo Fattorini, era un fine poeta), che si
sviluppa da una capacità di osservazione e ascolto fuori dal comune,
dai ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, dai momenti della
prima giovinezza vissuti nella condivisione di una tragedia collettiva,
quella della guerra, dello sfollamento a “Cantiero”: attimi e
sensazioni che nessun libro di Storia potrà mai descrivere per cogliere
la vera essenza di una condizione umana.
Questo
compito spetta ai Poeti, non agli storici, se non a quelli che, seguendo
l’insegnamento di Bloch, con umiltà sapranno comparare le virtù e lo
spirito antropologico di una comunità a quello che è l’aspetto
cronologico degli eventi.
Da
queste virtù e dalla spiritualità laica del popolo setino, Campoli ha
saputo cogliere, nella sua complessità, tratti e caratteri di una
religiosità fatta di riti, usanze, simboli, miti e leggende. Una
religiosità che non rimane chiusa all’interno di un nucleo ristretto
di persone, ché dalla famiglia si espande al vicinato fino a
coinvolgere l’intera comunità locale. La stessa comunità locale di
Ferdinand Tonnies, sopraffatta insieme ai suoi valori dalla società di
massa, dal consumismo, da quello che Pasolini ha chiamato “genocidio
antropologico” di una civiltà, di una cultura popolare: la civiltà e
la cultura popolare contadina, vera ipofisi da cui si dirama a feedback,
come una reazione endocrina, il piacere del gusto, dell’olfatto, della
visione surreale di un popolo, del popolo setino che Campoli ha reso
protagonista nei suoi scritti usando una terminologia originale - quella
della “sergiata” elogiata da Tullio De Mauro-, che attinge e ci fa
scoprire, dopo un’attenta ricerca, “le cradiche” di una Terra
fertile e generosa.
In
altri termini, quella di Campoli è un’operazione – che si sviluppa
attraverso un’opera letteraria - di salvaguardia delle tradizioni
setine dai risvolti politici, economici e sociali: il suo, infatti, è
un generoso e convinto atto di “resistenza poetica” contro ogni
tentativo di “bonifica integrale”, che si fa portavoce della rabbia
di Sestilio Fattorini per la distruzione della “Macchia Caserta” da
cui, secondo lo stesso, conseguirebbe lo stravolgimento degli equilibri
bio-climatici di un intero territorio, a danno delle coltivazioni
“sottocosta”; che si nutre della propaganda socialista di Vincenzo
Campoli, dove si formerà anche la coscienza politica di Alessandro Di
Trapano (cfr. L. Cappelli, Le strade della rinascita); che ha nel rigore
e nel coraggio paterno di Luca Campoli l’esempio egemonico, la figura
di riferimento per la sua formazione del Sé, della personalità e del
carattere elegante.
È
così che all’epopea dei pionieri della bonifica di Pennacchi, Campoli
antepone quella dei butteri, dei camperi, combattendo una battaglia
solitaria spesso inascoltata: Foro Appio non è mai stato, come
vorrebbero farci credere oggi, collocato all’interno di quella zona
insalubre che i setini chiamavano “Piscinara”, anche perché le
“do fila di spaghetti” di Parisi, “dalla piazza a Forappio”,
appunto, non avrebbero avuto il gusto desiderato. Una battaglia civile
proseguita fino alla “facciata di San Pietro”, coperta da quella che
Campoli definirà con amara ironia, disprezzando l’intervento
“architettonico” da 18 politico rimediato nel ‘68: "meringa.
Ognuno
di noi, almeno chi ha potuto e ha avuto la fortuna di conoscerlo a
fondo, potrebbe raccontare qui, oggi, un aneddoto su un’esperienza
fatta insieme a Campoli, magari durante una di quelle situazioni
conviviali dove il suo estro, la sua ironia, il suo saper “stare in
compagnia”, in mezzo alla gente, rivelavano un personaggio fuori dal
comune, a dir poco sorprendente.
Di
zio Totto, fratello di mia madre, legato da profonda amicizia con mio
padre, potrei stare qui a raccontare per ore quelli che sono episodi
legati alla sfera familiare, intima e difficile da far comprendere
all’esterno.
Mentre
di Antonio Campoli personaggio pubblico, sono due gli episodi che voglio
ricordare e a cui ho avuto la fortuna di partecipare ed assistere di
persona, e da cui ho tratto la conferma, non più condizionata da legami
familiari, della grandezza del genio teatrale. Si, perché Antonio
Campoli era innanzi tutto un artista della recitazione: artista della
parola, dei gesti, delle pause e della mimica, oltre che artista della
scrittura.
La
prima ai Prati della Rocca, primi anni Novanta del secolo scorso, lui
insieme ad Alessandro Di Trapano, suo cugino, in un confronto tra
diverse tradizioni popolari, in una sfida memorabile combattuta con la
sola arma della fantasia, come accadeva un tempo nelle “osterie di
fuori porta”. Con loro due a tenere banco, ad essere protagonisti
assoluti, affiatati ed allenati com’erano alla palestra della
“baracca del mercato comune”, detta anche “casa del popolo” di
Cantiero, dove durante la stagione dei granunchi e delle carcioffole di
Bufalotto, era solito trovarsi, non a caso, Pietro Ingrao.
La
seconda nella Maenza del post-Pucci, cioè quella della famosa frase di
Bufalotto: “mi sento accomme ‘na vigna rimossa”, che io, giovane
cronista di una tv locale, colsi allora mentre i risultati delle
Amministrative del “90 uscivano impietosi dall’urna elettorale.
Quella
sera d’estate, primi anni del Terzo Millennio, seduti sotto la Loggia
dei Mercanti, ebbi il privilegio di trovarmi al cospetto di due giganti
della Cultura popolare setina: Luigi “Gino” Zaccheo e Antonio
Campoli che, per più due ore - con me in religioso silenzio ad
ascoltare - rimasero a scambiarsi i nomi e l’uso (in un dialetto
setino che risaliva alle sue origini) di quelli che erano gli
“attrezzi” del mondo contadino di Sezze, e che lo stesso Zaccheo ha
saputo allestire e conservare all’interno di un prezioso Museo locale.
Nell’insieme,
chiudo riflettendo sulla dicotomia Campoli-famigliare e
Campoli-personaggio pubblico, giungendo alla conclusione che, se fosse
vissuto nell’ Anno del Signore, Antonio Campoli sarebbe stato la
figura di riferimento sia per Pasquino che per Targhini e Montanari. E
al posto di “Mastro Titta” - no Titta nostro, ma quello di piazza
del Popolo a Roma - avrebbe sistemato le cose con una abbondante
porzione di minestra di fasogli, quella che Leone XIII chiamava
“minestra divina”, riferendosi al piatto cucinato da Filumena
Catenaccio che “co ‘na spasa di pano/iugnivi ‘n Vaticano”.
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