Passeggiate archeologiche

 

> 15 novembre 2015:  8a tappa del Gruppo “In Difesa dei Beni Archeologici”

a cura di Fabrizio Paladinelli, Vittorio Del Duca e Ignazio Romano

La Pietra del Tesoro

Tra storia, leggenda e tradizione

La visita alla “Pietra del Tesoro + Fonte della Chitarra + Grotta carsica rifugio” è di interesse storico e ambientale su un percorso di soli 2 Km accessibile a tutti e con la durata di circa 2 ore. L'appuntamento è per domenica 15 novembre alle ore 9,00 nel Piazzale dell'Anfiteatro di Sezze.

Si consiglia di indossare scarpe da trekking o scarpe da ginnastica antiscivolo, abbigliamento comodo, K-way (zona ventosa), torcia tascabile per chi vorrà entrare nella grotta. 

foto di Anna Cicciarelli

Siamo tanti, siamo sempre di più

Descrizione percorso:

La "Pietra del Tesoro" volgarmente chiamate Preta degli Trasoro, è una stele di roccia naturale alta circa 4.5 m che si trova lungo l’antica mulattiera che dall’Anfiteatro di Sezze raggiungeva il lago delle Mole Muti. 

Sulla stele è incisa un’iscrizione funeraria dedicata al Caio Licinius risalente al I secolo d. C.

(H. H. Armstrong fa risalire l’iscrizione all’età repubblicana in base alla tipologia di caratteri usati).

Secondo la tradizione sotto il pretore Licinius fu martirizzata Santa Pareasceve(1)*.

L’iscrizione ha da sempre fatto parte della cultura popolare di Sezze, almeno fino al primo dopoguerra quando l’antico tratturo è stato abbandonato a causa dello sviluppo del trasporto su gomma. Da quel momento è iniziata a perdesi la memoria collettiva. Successivamente il tratturo è stato interrotto dal muro di cinta realizzato dalla Provincia di Latina per circoscrivere l'area di quello che ancora oggi è conosciuto come Anfiteatro, chiuso al pubblico da più di vent'anni.

Dopo la stele della Pietra del Tesoro, proseguendo verso est per qualche centinaio di metri, si raggiunge la Fonte della Chitara(2)**.

Secondo la tradizione un pastore sezzese, quando a Sezze arrivava il mare, si innamorò della figlia di un pescatore che non volle sapere di darla in sposa al pastore. Per la disperazione scolpì sulla roccia una chitarra affinché l’acqua che ne sgorgasse cantasse per il suo perduto amore.

Dopo la Fonte della Chitarra, continuando ancora a camminare verso est, si incontra l'ingresso di una grotta carsica dove durante la seconda guerra mondiale trovarono rifugio alcune famiglie di Sezze. Entrando nella caverna ci si può rendere conto delle condizioni di vita degli sfollati.

(si consiglia una torcia tascabile).  

foto di Massimo Eramo


(1)* Santa Parasceve tra storia e leggenda 
Il martirio di Santa Parasceve a Sezze sotto la prefettura di Asclepiades

In località Piagge Marine, dopo aver attraversato la parte ad est dell’Anfiteatro, su di un masso isolato alto m. 4,55, si trova, in riquadro, l’iscrizione sepolcrale corrosa del tempo, che ricorda C. Licinius Asclepiades Medicus, conosciuto anche come Asclepia o Asclepio, medico e prefetto dell’antica Setia (1). Più fonti (2) attestano che un personaggio con tale nome è stato prefetto della “città” in cui avvenne il martirio di Santa Parasceve, nel160 d.C. sotto l’impero di Antonino Pio, senza alcuna precisazione del nome della città. Secondo il Lombardini, (3) invece, tale città sarebbe Sezze, perché desunto da opere di “ bollandisti e scrittori degli atti dei martiri cristiani” che però hanno scritto molti secoli dopo il martirio (4), ed infatti definisce Paresceve “giovanetta setina”. Il luogo del sepolcro di Asclepio fu chiamato dal popolo “la prèta glì trasòro” (pietra del tesoro) forse perché, come afferma lo stesso Lombardini (op. cit), “la tomba devastata e frugata abbia accreditata la credenza, o per l’iscrizione, che per il volgo ha un significato arcano”. 

Un ringraziamento particolare va agli amici Fabrizio Paladinelli e Vittorio Borsi che nel maggio 2011, dopo alcuni giorni di ricerca, hanno rinvenuto la Pietra del Tesoro nascosta tra i rovi.

Riguardo al personaggio, lo stesso autore ribadisce: “questo eccentrico Asclepiade, senza tema di errare, ritengo sia esistito ai tempi di Antonino Pio, nei quali a ciascuna città fu addetto un maggiore o minor numero di medici secondo il bisogno, eletti e stipendiati dalla città stessa.” Non esistono però fondamenti certi che l’iscrizione sepolcrale sia del II secolo dopo Cristo, cioè del tempo di Antonino Pio, perché l’Armstrong (1) la farebbe risalire al periodo repubblicano a causa del carattere delle lettere, ma in questo caso si tratterebbe di un altro prefetto con identico nome. Coincidenza veramente singolare, per quanto inverosimile, considerando i tre nomi di Asclepio! Tanto meno possiamo spostare l’epoca del martirio di Santa Parasceve, perché tutte le fonti sono concordi nell’affermare che avvenne sotto l’impero di Antonino Pio. Non esistono neanche fondamenti certi che Santa Parasceve fosse setina, o che la sua famiglia possedesse dei beni a Sezze ed infatti diverse città del sud ne rivendicano la cittadinanza, soprattutto Locri, il paese natale del padre, ma la maggior parte delle fonti concordano sulla sua nascita a Roma, nel II secolo d.C. Sappiamo per certo che santa Parasceve venne al mondo all’epoca dell’imperatore Adriano, da ricchi genitori cristiani, Agatone da Locri ed Ippolita, che ne avevano ottenuto la nascita con le preghiere, dopo 35 anni di matrimonio. Alla loro morte Parasceve vendette i beni ereditati e distribuì il ricavato ai poveri; si ritirò in preghiera in un convento di Roma, che dopo qualche anno lasciò per predicare pubblicamente la dottrina cristiana. 

La predicazione della dottrina da parte di una donna, per giunta contraria a quella impartita dalla religione ufficiale, provocò l’ira dei giudei che la denunciarono all’imperatore Antonino Pio. Da questo momento iniziano le sue persecuzioni, ma anche le vicende miracolose e leggendarie che segnarono la vita della santa. L’imperatore, per punirla, fa riscaldare sulla fiamma, fino a renderlo incandescente, una specie di elmo metallico che i carnefici le pongono sul capo, senza provocarle alcun danno. In molti, vedendo questo prodigio si convertono. Riportata in prigione, un angelo la libera dalle catene, ma ricondotta dall’imperatore viene appesa per i capelli mentre i carnefici ne tormentano il corpo con fiaccole accese, sempre senza provocarle alcun dolore. Così viene preparato un gran pentolone pieno d’olio e pece bollente in cui viene fatta immergere, ma rimanendo indenne alla tortura, Parasceve spruzza questo liquido bollente sugli occhi dell’imperatore Antonino, che poi ella stessa guarirà dalle piaghe. L’imperatore, visto il prodigio, si converte al cristianesimo e si fa battezzare (5). Nelle more delle sue predicazioni, giunse “in una città” che secondo il Lombardini sarebbe Setia, dove era prefetto un certo Asclepia o Asclepiades (6), che la interroga sulla sua religione e rimanendo turbato dalle sue risposte, la fa condurre fuori dalla città in una grotta abitata da un terribile drago. La santa traccia un piccolo segno di croce e la bestia ruggendo si squarta in due: a questa vista Asclepio ed altri testimoni si convertono e vengono da questa battezzati.

Santa Paresceve e Porta Pacis Belli in una tavola del Corradini

Se l’incontro di Parasceve con l’Asclepio setino fosse autentico, non avrebbe trovato luoghi migliori di Sezze, soprattutto se immaginiamo che costui, una volta convertito alla religione cristiana, avrebbe potuto manifestare il desiderio di essere sepolto là dove aveva assistito al prodigio della santa, cioè in quel masso isolato, misterioso e leggendario che il popolo chiamerà la “pietra del tesoro”. Se così fosse stato, a pochi passi dalla pietra del tesoro esistono delle grotte carsiche (7) capaci di aver evocato nell’immaginario del popolo, fantasie e leggende come quella del drago: la bestia mostruosa ed orrenda, simbolo del male, che nelle antiche leggende ricorre sovente come guardiana di presunti tesori. Così è, ad esempio e tanto per rimanere a Setia, nella storia di Giasone ed il vello d’oro, raccontata nelle “Argonautiche” dal setino Caio Valerio Flacco. Parasceve continuò le sue predicazioni e giunge ancora “in altra città” governata da un “tale Taresio”, che la fece decapitare dopo altri supplizi, per aver ingiuriato Apollo davanti al suo tempio. 

Su questo tempio i cristiani eressero in seguito la chiesa ad essa dedicata. Alcuni fatti veri, soprattutto la presenza nell’antica Setia di un prefetto di nome Asclepio, la chiesa di S. Parasceve costruita sul tempio di Apollo (8) ed altri fatti immaginari potrebbero accreditare Sezze come la misteriosa “altra città". Manca però un governatore di nome Taresio e tanto meno abbiamo elementi per affermare che si sia trattato di uno pseudonimo di Asclepio. Il nome Taresio nella storia è molto vago, appare errato oppure come storpiazione di L. Taurio, un personaggio esistito al tempo della guerre civili di Roma e anteriore alla grande battaglia di Azio del 31 a. C. (9). 

Anche la vita della Santa è avvolta dal mistero, essa è stata oggetto di non meno di quindici “passiones” e di un “elogio” riportati in manoscritti , quasi tutti anonimi, redatti tra l’XI e il XVI secolo; i maggiori particolari sulla sua storia sono stati ricavati dall’elogio scritto da Giorgio Acropolita nel sec. XVI. Il culto di santa Parasceve, chiamata anche santa Venera o santa Veneranda, è stato di grande popolarità in epoca medioevale in tutto il centro sud e ciò spiegherebbe la costruzione a Sezze della chiesa ad essa dedicata, risalente al XI secolo, anche se sembra esiguo o inesistente il numero dei devoti che ha voluto assumerne il nome, al pari degli altri santi. Per gli studiosi di avvenimenti sacri (10) due particolari, tra gli altri, risultano del tutto inverosimili: l'esistenza di un monastero femminile a Roma nella seconda metà del sec. II, e la pubblica predicazione del Vangelo ad opera di una fanciulla, cosa discordante coi costumi dell'epoca e contraria al divieto fatto da S. Paolo alle donne di predicare la parola di Dio. 

Note
1)- L’iscrizione sepolcrale è riportata da F. Lombardini -Storia di Sezze – Velletri 1909 , Editrice Lizzini , da Armstrong H.H. -Topographical Studies at Setia in American Journal of Archaeology, XIX, 1915 che la fa risalire al periodo repubblicano per lo stile delle lettere e più recentemente da L. Zaccheo – F. Pasquali Sezze, Guida all’Antiquarium e ai maggiori Monumenti- Angeletti Editore, 1970 
2)- Codice Ambrosiano P 210, in AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, Ist. Giovanni XXIII della Pontificia
Università Lateranense, Vol. X, par. 328/331- Città Nuova Ed., Roma 1982. 3) F. Lombardini- Storia di Sezze, pag 37- Velletri 1909, Casa Editrice Lizzini 4) Il Lombardini nella nota 42 della Storia di Sezze afferma di aver tratto notizie del martirio di Santa Paresceve da Martyrol.S.R.E. Mediolani 1578 e da De Natali ….. passa est sub Asclepio praeside. 
5)- A. Montesanti – Tra mare e terra- Edizioni Fegica- 1999 
6) - Codice Ambrosiano P 210, in AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, Ist. Giovanni XXIII della Pontificia
Università Lateranense, Vol. X, par. 328/331- Città Nuova Ed., Roma 1982. 7) – Una di queste grotte si trova a pochi passi dalla tomba di Asclepiades, procedendo in direzione sud est nei pressi della “Fonte della Chitarra”. Altre grotte carsiche si trovano poco distanti dalle tre croci dell’Anfiteatro e a sud ovest di queste. 8)- Che il tempio di Apollo fosse esistito a Porta Pascibella , dove si trova attualmente la chiesa di S.Paresceve, viene riportato dal Cardinale Pietro Marcellino Corradini in “De civitate et Ecclesia setina”, Romae 1702 e da V. Tufo “Storia Antica di Sezze”- Veroli, Tipografia Reali, 1908 che citano il rinvenimento in loco di una iscrizione attestante un restauro del tempio di Apollo ad opera di L.Aninius L. F.Capra IIII, un personaggio della colonia romana di Setia. 9) – Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Tomo VI – Roma - Stamperia della R.C.A. 1835 
10) – Centro Studi San Carlo da Sezze – sito internet .

Oggi la più antica chiesa di Sezze è coperta dalle auto in sosta, in un luogo "Porta Pacis Belli" dove per secoli sono stati sanciti gli atti più importanti della città, e dove i sezzesi accoglievano il nuovo vescovo

  (2)** La "fonte della chitarra" 

e il canto del pastore innamorato

Una antica leggenda sezzese, si salva grazie al racconto di Marcello Battòcchio.
Dalla Pietra del Tesoro, percorrendo in direzione sud est un tratto di collina, piuttosto impervio, di circa 200 metri, tra arbusti, stramma, ulivi e mandorli, si giunge in una spianata detta “Casetta rotta” con a lato la “Fonte della Chitarra”, una roccia larga e squadrata con un curioso incavo a forma di chitarra, da cui si gode una bella veduta sulla pianura sottostante. Non è una fonte vera e propria, perché l’acqua non vi è mai scaturita, ma l’incavo a forma di chitarra costituisce, in una zona arida, una piccola riserva di acqua piovana in grado di dissetare la fauna del luogo tra una pioggia e l’altra. A pochi passi dalla fonte, una grotta carsica piuttosto umida, chiamata la “grotta della chitarra”, si dice forse con eccesso di fantasia, che prima di essere interrotta da una frana fosse abbastanza lunga da avere un’uscita dalla parte opposta. E’ da notare che nella zona a sud est dell’anfiteatro, sino alla “Sedia del papa” vi sono diverse grotte di questa tipologia, e nel Maggio del 1944, durante i bombardamenti degli Alleati, furono il rifugio di molti nostri concittadini sfollati dal paese. 
La “fonte della chitarra” è stata di ispirazione per un’antica leggenda che Marcello Battòcchio, proprietario dell’omonimo ristorante, ci ha raccontato per essergli stata tramandata dai nonni. Probabilmente, in passato questa “storia” dovette essere molto nota in paese, insieme alle altre che si usava raccontare accanto al camino, quando televisione e internet erano impensabili, e gli anziani sempre pronti ad inventare nuove storielle per appassionare i più giovani ed ingannare il tempo. E’ inutile cercare verità in questa leggenda, bisogna accettarla così come è, nel modo semplice in cui è stata raccontata per secoli, anche se è probabile che dei particolari siano andati perduti. 
Si dice che una volta il mare lambisse la collina di Sezze. Vicino al mare, ai piedi della collina, un pescatore aveva costruito la sua capanna dove abitava con la moglie ed i suoi figli, tra cui una bella fanciulla dagli occhi azzurri e dai capelli neri. Un pastorello, che ogni anno conduceva il suo gregge a pascolare nella collina, notò la ragazza mentre aiutava il padre a stendere le reti. Impressionato da tanta bellezza e animato dalla voglia di conoscerla, giorno dopo giorno si spostò con il gregge ai pascoli sottostanti in modo da potersi avvicinare alla ragazza. Tra i due nacque una storia d’amore, ma questa fu di breve durata, perché scoperti dal padre di lei, che non vedeva di buon occhio il matrimonio della figlia con un pastore, scacciò il giovane in malo modo respingendolo sull’alto della collina e proibì alla figlia di uscire dalla capanna. Il povero pastorello, non si perse d’animo e, seppure rassegnato a non dover più incontrare la ragazza, gridò forte al pescatore: “ 

Puoi impedire che io sposi tua figlia, ma non potrai mai impedire che io l’ami e che ogni giorno canti il mio amore per lei; sarà come sposarla ogni mattina ed averla sempre con me” Scavò così una chitarra nella pietra, e tutti i giorni, mentre pascolava il gregge, il suo canto d’amore errava nella collina fino a raggiungere la bella innamorata.
La chitarra, nella forma che conosciamo, è uno strumento che ha origini rinascimentali, pertanto questa storia, che potrebbe sembrare mitologica, non può essere in alcun modo anteriore al XIV secolo.