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DARFUR, quanti morti ancora? |
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Venerdì 23 maggio alle ore 18,00 presso lo spazio teatro MAT di Via San Carlo a Sezze conferenza di “Italian Blogs for Darfur” Darfur, tempo scaduto: apriamo gli occhi sul dramma Non bastano 300 mila morti, vittime di un nuovo genocidio che da quattro anni bagna di sangue la già martoriata terra africana. Non bastano 2 milioni di rifugiati, destinati a una vita da sfollati sia all'interno del Sudan, sia nei campi profughi in Ciad, circostanza che di fatto ha allargato il conflitto anche a questo paese confinante. Il genocidio dei darfuri non fa notizia. Non basta questo ad accendere i riflettori su quello che succede in questa parte dell'Africa che s'affaccia sul Mar Rosso. Secondo uno studio dell'osservatorio di Pavia sull'attività dei media, nel 2005 le emittenti radiotelevisive italiane hanno dedicato complessivamente una sola ora di programmazione al conflitto del Darfur. E da allora poco sembra cambiato. Solo la mobilitazione messa in atto da movimenti d'opinione ha cominciato a smuovere le coscienze dell'occidente. L'impegno di Sauver le Darfour in Francia e di Italian blogs for Darfur nel nostro Paese sono alcuni dei tentativi portati avanti per rompere il muro del silenzio. “Darfur time over”, la conferenza in programma il prossimo 23 maggio alle 18 presso il “Mat spazio teatro” di Sezze (via San Carlo, 160) e che Italian Blogs for Darfur organizza in collaborazione con Matutateatro e associazione Ercole, è una piccola spinta dal basso per invertire la rotta dell'indifferenza informativa e dell'immobilismo istituzionale (si pensi all'atteggiamento refrattario delle Nazioni Unite sul riconoscimento del conflitto come genocidio). Interverranno Stefano Giancola, fotoreporter di Italian Blogs for Darfur. Stefano Cera, docente del CoESPU (Centro di Eccellenza per le Stability Police Units) e del Casid (Centro Alti Studi della Difesa) e autore del libro “Le sfide della diplomazia internazionale. Il conflitto nel Darfur”.
Islamizzato nel XIV secolo, il sultanato indipendente del Darfur raggiunse la massima potenza tra la fine del XVII ed il XVIII secolo. Inglobato nell'Egitto nel 1874, per questo sostenne la rivoluzione mahdista, da cui poi si allontanò, ottenendo alla sua sconfitta, nel 1898, una certa indipendenza, che perse nel 1916 per essersi schierato con l'Impero ottomano. Da allora ha condiviso la storia del Sudan. La Cina ha avviato una politica di prestiti in dollari a tassi agevolati per finanziare lo sviluppo delle infrastrutture nei Paesi sudafricani quali Nigeria, Angola, Ghana, Sudafrica e Mozambico, ottenendo in alcuni Stati concessioni per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Dite di no a Pechino il Darfur scuote i GiochiROMA - Niente ciak a Pechino. Hollywood non gioca con i Giochi, e chiede al mondo di fare altrettanto. Steven Spielberg non se la sente di fare il consulente artistico della cerimonia d' inaugurazione. «Non voglio perdere il mio tempo, preferisco utilizzarlo per cercare di fermare il genocidio in Darfur». Chissà se il suo collega cinese, il dissidente Zhang Yimou, incaricato dello spettacolo inaugurale, deciderà anche lui di fare marcia indietro. Lanterne Rosse che avvisano un boicottaggio. Pechino risponde al colpo di Spielberg con un comunicato e usando le parole: «Irragionevole, irresponsabile, ingiusto». Lo firma il portavoce dell' ambasciata cinese a Washington, Wang Baodong: «Quella del Darfur non è una questione interna della Cina, né è causata dalla Cina. Non è giusto da parte di certe organizzazioni e individui legare i due problemi come fossero uno solo, così si contraddice il principio universalmente riconosciuto della non politicizzazione dello sport». La Cina, uno dei grandi partner economici del Sudan, si è opposta all' invio di forze di pace Onu nel paese africano. Un pezzo d' America e del congresso Usa da tempo insiste perché il governo di Pechino faccia pressioni sul Sudan e usi la sua influenza per mettere fine alle violenze. Il prezzo sono le Olimpiadi. La scelta di Spielberg a 176 giorni dall' inizio dei Giochi riaccende i riflettori i sulla questione del rispetto dei diritti umani in Cina. La scorsa estate l' attrice Mia Farrow, sostenuta anche dall' inglese Emma Thompson, insieme ad un gruppo di premi Nobel aveva inviato un appello al presidente Hu Jintao sulla questione Darfur. Tra le altre firme: Shirin Ebadi, Adolfo Perez Esquivel, Rigoberta Menchu, Desmond Tutu, Elie Wiesel, Betty Williams e Jody Williams. Da Khartum i ribelli impegnati nel conflitto ringraziano il papà di Indiana Jones e invitano al boicottaggio. «Questo gesto ha un grande significato per chi lo compie» dice Ahmed Hussein Adam, portavoce del movimento 'Giustizia e Uguaglianza' . «Gli ho mandato le mie congratulazioni e l' apprezzamento del movimento» dichiara uno dei leader dell' esercito di liberazione del Sudan (Sla), Suleiman Jamous. E uno dei fondatori del gruppo, Abdel Wahed Mohamed Ahmed al-Nur, aggiunge che Spielberg ha fatto una «nobile mossa». La guerra civile in Darfur ha fatto 200 mila morti e ha lasciato due milioni e mezzo di persone senza casa. L' avvocato sudanese, Salih Osman, vincitore del premio dell' unione europea per i diritti umani, sostiene che è perfettamente lecito usare le Olimpiadi per bacchettare la Cina: «E' semplice, bisogna scegliere tra i soldi, il petrolio e la vita della gente». Da New York l' organizzazione dell' Human Rights Watch spinge perché altre personalità, governi e sponsor decidano di non associarsi più ai Giochi di Pechino. Non si può fare finta di niente, dice Spielberg. Lo dice anche l' organizzazione francese «Reporter Senza Frontiere» che accusa la Cina di non compiere passi avanti per quanto riguarda la libertà di stampa ai Giochi Olimpici. «Nessuna delle promesse delle autorità cinesi è stata realizzata. Almeno 180 giornalisti stranieri sono stati arrestati, aggrediti fisicamente o minacciati». Si muove contro la Cina anche Londra. Due atleti britannici sono usciti allo scoperto e hanno dichiarato di militare in una Ong che denuncia il sostegno cinese al governo del Sudan, «responsabile di un conflitto che uccide ogni giorno civili indifesi». Uno è il campione di badminton, Richard Vaughan, l' altro è la medaglia olimpica invernale dello skeleton, Shelley Rudman. Alcuni atleti inglesi rifiutano il bavaglio e avvisano Pechino: «Disturberemo le conferenze-stampa». Senza Spielberg, ma con una regia della protesta. - EMANUELA AUDISIO Un modo per capire, per non tenere serrati gli occhi sul dramma |
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