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11 maggio 2014: 7a
tappa del Gruppo “In
difesa dei Beni Archeologici”
a
cura di Fabrizio Paladinelli, Vittorio Del Duca, Ignazio Romano e
Roberto Vallecoccia
In
40 sul Tratturo Caniò e al Tempio di Giunone
Sezze,
la sua storia millenaria, i suoi tesori ai Sezzesi

Foro Appio - Villa Franca - Tempio di Giunone
Partenza alle ore 9:00 dal parcheggio di Borgo Faiti nei pressi del primo ponte più vicino all'incrocio Appia/S.S. 156 (La Storta).
Si procede verso Villa Franca per poi proseguire sul Tratturo Caniò fino a raggiungere lo scavo del tempio di Giunone.
Da qui si torna indietro fino a Villa Franca dove, con alcune auto precedentemente parcheggiate in quest'area, torneremo al punto di partenza.
Scheda
tecnica
Data escursione: domenica 11 maggio 2014
Partenza: ore
9:00 - Borgo Faiti (LT)
Arrivo: Villa Franca fine percorso ore 13:00
Distanza: Km
7
Dislivello:
assente
Difficoltà: T/E (percorso
facile)
Tempo di percorrenza previsto: 4 h circa, soste comprese
Tipologia fondo stradale
- asfalto: Km1.5 (circa) sterrato: Km 5.5 (circa)
Luoghi di interesse storico/ambientale: Foro Appio; Ruderi Torre Petrara; Villa Franca (Villa
Rappini); Tempio di Giunone; Archi di San Lidano; Ruderi monastero di
Santa Cecilia.
Descrizione
Il percorso proposto è di particolare interesse storico/archeologico perché attraversa un territorio ampiamente antropizzato dall'età del bronzo prima, poi dai Volsci e dai Romani fino ai nostri giorni.
L'area attraversata è compresa fra gli antichi centri di Tripontium (Tor Tre Ponti), Forum Appii (Borgo Fati) e Setia (Sezze) ed è limitrofa alla Via Appia e alla via d'acqua (fiume Cavata) che collegava Sermoneta fino a
Terracina.

Prime
immagini di domenica 11 maggio in compagnia di Cecilia, 5 mesi, l'ultima
arrivata nel gruppo














Pietrosanti
Franco, proprietario di Villa Franca insieme ai fratelli, ci illustra la
storia del luogo








grazie
a Rita per la foto "chi fotografa chi"

tutte
le foto della passeggiata di domenica 11 maggio

il
ponte romano sulla via Appia
































torre
di epoca medioevale sul probabile tracciato della via Setina che dalla
via Appia conduceva a Sezze









1
- Importanza del rinvenimento dei resti del Tempio di Giunone
Il rinvenimento nel 1980 del tempio arcaico di Giunone nel tratturo
Caniò, come ebbe a sottolineare il prof. Luigi Zaccheo in un suo pregevole articolo del 1985 (Il Comune Oggi – Nov 1985 –anno
VII), rappresenta un fatto culturalmente molto importante, perché è il segno della penetrazione più meridionale di Roma durante la conquista del territorio dei
Volsci. Con tale articolo il prof. Zaccheo, oltre ad informare su importanti reperti che erano tornati in luce, notava che se si fosse riusciti a scavare tutta l’area sacra del tempio e a ricomporre in loco le antiche strutture, Sezze avrebbe avuto il pregio di mostrare nel proprio territorio uno dei complessi più antichi del Lazio meridionale. Infatti, se consideriamo che l’area archeologica del tempio dista appena un chilometro dalla via Appia e dal Foro Appio, ed è prossima agli Archi di S. Lidano e alla Torre Petrara (tomba romana), ci sarebbero tutte le condizioni per creare un vasto parco archeologico di notevole interesse artistico, un punto obbligato di attrazione per la massa di turisti transitanti nella regione
pontina. “ Il mio augurio – concludeva Zaccheo - è che lo sforzo ed il lavoro di tante persone ( negli scavi dal 1984 al 1985) abbia l’aiuto e l’incoraggiamento del Comune di Sezze, dell’ Amministrazione provinciale, della Soprintendenza Archeologica, della Camera di Commercio, dell’ EPT di Latina e delle istituzioni culturali, per fare in modo che un così ricco patrimonio archeologico non resti semidistrutto ed in abbandono per anni.” Sono passati trent’anni da allora, e i timori del prof. Luigi Zaccheo si sono rivelati una profezia, il tempio di Giunone è rimasto “semidistrutto e in abbandono” all’incuria del tempo e degli uomini, e forse lo sarà per sempre. In questo nostro paese, che ha il pregio di possedere una storia e una cultura ultramillenaria, non si riesce a far comprendere come le bellezze architettoniche e paesaggistiche, unitamente alla cultura, alle tradizioni e al buon cibo, possono creare una nuova e importante economia, alla stregua di altre realtà italiane che hanno intrapreso con successo questo percorso. Invece che lavorare per conservare e valorizzare il nostro patrimonio architettonico e ambientale si preferisce lavorare a distruggerlo, nella errata convinzione che cementificare crea lavoro e ricchezza, mentre il resto sarebbero solo chiacchiere e nostalgia del passato. L’area archeologica del tempio di Giunone, è rimasta nello stato in cui fu lasciata negli scavi degli anni 80, quando esauriti i fondi che vi furono destinati, fu recintata ed in parte coperta con una pensilina rinviando tutto a tempi migliori. Gli oggetti ritrovati furono condotti nel museo archeologico di Sezze a disposizione della collettività. La pensilina e la recinzione, ora arrugginita e tagliata in più punti, non hanno impedito ai malintenzionati di trafugare nel tempo altri tesori che molto probabilmente si celavano ancora nel sottosuolo, rubandoci con essi anche la possibilità di poter aggiungere importanti tasselli alla ricostruzione storica e culturale del territorio.
2 - Cenni storici sul tratturo Caniò
Unica via di accesso al Tempio di Giunone, il tratturo Caniò era anticamente percorso dalla transumanza del bestiame che scendeva dai Lepini attraverso le falde del M.
Antignana, e raggiungeva la palude nei pressi del Foro Appio. Di questo tratturo non esiste più né il tracciato montano né quello
pedemontano, anche se di quest’ultimo si può ritenere che in epoca remota passasse per le sorgenti di “acqua zolfa” in località La Catena, dove gli animali venivano fatti immergere. Ciò in virtù della funzione sanante dello zolfo per la cura di ferite sugli animali, specificamente sui cavalli, ma anche sugli ovini, ai quali le acque solfuree conferivano un mantello di lana candido e pulito, che costituiva un pregio commerciale ed un valore
aggiunto.(1) Una opportunità cui difficilmente i pastori rinunciavano, e che con ogni probabilità ha dato il nome all’intero tratturo. “Caniò” infatti deriverebbe dal nome latino di persona “Canius “, che significa uomo dai capelli bianchi o candidi, proprio come il candore che acquistavano le pecore detergendosi nell’acqua zolfa della sorgente della Catena. Gli umanisti ci hanno sempre ricordato che in greco “to theion” era lo zolfo, ma era anche la cosa divina
(divinum): non a caso il verbo theióo significa “purifico con zolfo, disinfetto”, ma corrisponde anche a «consacro agli dei». Pertanto, lo zolfo era sacro, anzi, era la “cosa sacra” con cui si curavano i mali degli uomini e degli animali, si candeggiavano lana e tessuti, si purificavano le case durante le cerimonie, si preparava la vite ed il vino etc.
Dall’area archeologica dei resti del tempio di Giunone, provengono numerosi materiali bronzei e ceramici, fra i quali si distinguono gli ex voto: sia gli anatomici, che rimandano chiaramente a una guarigione richiesta o ricevuta di persone malate, sia quelli riproducenti ovini, bovini e un cavallo: anche qui, si crede, la presenza di animali da pascolo potrebbe non essere casuale, ma legata proprio all’azione benefica delle acque sugli armenti e sulle pecore. E della rilevanza data a questi animali, parrebbero testimoniare pure gli strumenti da lavoro venuti alla luce durante gli scavi: una lama di coltello a mezzaluna per la lavorazione del cuoio, e vari pesi da telaio, evidentemente legati alla tessitura. Gli ex voto di animali provenienti dagli scavi del Tratturo Caniò sono stati giustamente posti a confronto con altri similari rinvenuti di frequente nei depositi votivi centro-italici, fra i quali vale segnalare il noto deposito detto di Minerva Medica dall’Esquilino, da dove provengono varie statuette di animali da mandria: tori, buoi e pure cavalli oltre che altri
animali.(2) Dalle mappe del catasto terreni di Sezze del 1929, che si rifanno a quelle ancora più antiche del Catasto Pontificio, il tratturo inizia da via degli Archi, a circa 650 metri dal sito archelogico degli Archi di S. Lidano e dirige verso la campagna in direzione sud per meno di 500 metri, quindi curvando verso ovest attraversa la fossella della Carrara e va ad incrociare, dopo circa 350 metri, via
Murillo. L’accesso in via Murillo è da questa parte intercluso dall’aia di un fabbricato rurale, ma può essere all’occorrenza ripristinato perché non vi insistono manufatti.. L’orientamento dell’asse del tratturo nel tratto in cui inizia da via degli Archi, mostra la sua antica provenienza dalla sorgente dell’acqua zolfa della Catena, anche se tale percorso pedemontano con ogni probabilità è variato nei secoli, specie nelle contese medievali tra Sezze e
Sermoneta, quando potrebbe essersi identificato per buona parte con lo storico stradone dell’Arnarello (ancora esistente e riportato in mappa nelle immediate vicinanze del tratturo, presso via Archi). Anzi si potrebbe plausibilmente ipotizzare che in un’ era molto antica tale stradone immettesse direttamente nel tratturo, raccogliendo le greggi che scendevano dalla parte ad est dell’Antignana . Il tratturo Caniò è interamente in terra battuta e così è sempre stato nei millenni, si presenta molto sconnesso e può essere percorso solo a piedi oppure da trattori o fuoristrada. Dall’intersezione di via Murillo (circa 800 metri dagli Archi) e procedendo in direzione sud- ovest verso i resti del tempio di Giunone, il tratturo Caniò scompare dalla planimetria catastale, ma la tradizione popolare lo indica ancora oggi inequivocabilmente in uno stradone di terra battuta, caratterizzato anch’esso da grossi avvallamenti e percorribile come il primo tratto solo da trattori e fuoristrada, che porta al cuore della località “Quarto Campelli”
Il tratturo termina alla fossella della Selcichia, ma sino a pochi decenni fa immetteva in via Maina e c’è ancora chi racconta di uno suo sbocco in prossimità del Foro Appio. Le origini arcaiche del tratturo
Caniò, sicuramente una delle prime strade del campo setino, sono testimoniate da una parte degli oggetti rinvenuti negli scavi dell’area archeologica del tempio di Giunone che risalgono al XVI secolo a. C. (età del Bronzo Medio). Da questi oggetti si desume chiaramente la sua preesistenza sia a via degli Archi che alle altre strade del campo di Sezze, che il tratturo avrebbe attraversato in tempi più recenti, e persino alla stessa via
Appia.
Note
(1) (2)- Università degli studi di Padova, Dipartim. archeologia- Atti del convegno, Padova 21.06. 2010 - AQUAE PATAVINAE – Maddalena
Bassani: Le terme,le mandrie e Gerione- Antenor Quaderni 21 .
3 -
I reperti archeologici del Tempio di Giunone
Sono documentati da una locandina posta accanto al tempio negli scavi degli anni 80 . Si presenta pressoché illeggibile per essere scolorita ed infranta in diversi punti, forse impallinata da qualche cacciatore annoiato, ma con un po’ di pazienza si riesce ancora ad interpretarne il contenuto. I frammenti architettonici rinvenuti sono riferibili ad un edificio sacro di ordine ionico databile nella seconda metà del II secolo a. C. ma edificato su un’area che aveva già una sua tradizione culturale e sociale. Uno spesso strato di intonaco, che almeno in parte era dipinto in rosso, giallo e nero, rivestiva tutti gli elementi architettonici scolpiti sia nel tufo che nel calcare locale. Particolarmente interessante per la storia della pianura pontina sono le due iscrizioni incise nello stucco del fregio e dell’architrave. Quella del fregio commemora la costruzione dell’edificio, forse un portico, da parte di un POSTUMIO ALBINO console, mentre quella dell’architrave ricorda un restauro del pretore LUCIO VARGUNTEIO
RUFO. Sembra che proprio in occasione di questo restauro, l’iscrizione più antica sia stata cancellata, ricoprendo i solchi delle scritte di stucco bianco. Ciò avveniva nella cultura romana ogni qualvolta che un personaggio si macchiava di una infamia tale da meritare la " damnatio memoriae ", cioè la cancellazione del suo nome dalle strutture monumentali ( nomen
abolendum). L’edificio sacro doveva trovarsi al centro di un santuario nel quale, come testimoniato da un'altra iscrizione incisa su di un ara, era venerata GIUNONE REGINA, protettrice del mondo femminile oltre che degli animali. La grande venerazione di cui godeva questa e forse anche altre divinità del santuario è testimoniata dai numerosi doni votivi trovati durante gli scavi condotti tra il 1984 ed il 1986. Si tratta di ex voto realizzati sia in terracotta che in bronzo e databili tra la fine del IV secolo e la fine del II secolo a. C. teste, mani, piedi, falli, uteri, statuine di offerenti, di guerrieri, di Ercole, ma anche molti vasi in ceramica a vernice nera e in ceramica comune. Altri materiali archeologici recuperati hanno rilevato che la frequentazione dell’area iniziò molti secoli prima della costruzione dell’edificio di ordine ionico. Infatti, a circa due metri dall’attuale piano di calpestio sono stati rinvenuti materiali risalenti alle fasi iniziali del Bronzo Medio
(XVI secolo a. C.) e ad un livello di poco superiore una grande olla della seconda fase della Civiltà Laziale
(IX Secolo a. C.). Si può ipotizzare che in età arcaica, tra la fine del VI Secolo e gli inizi del V secolo a. C. sia stato qui costruito un piccolo sacello il cui tetto era decorato con le antefisse a testa di Giunone, di Satiro, o a coppia di Menade e Satiro danzanti. Tra i doni votivi risalenti a questo periodo sono da rilevare alcune statuine bronzee
(kouroi) e vasetti miniaturistici d’impasto.
Seguono
alcune immagini degli anni '30 di Foro Appio e Borgo Faiti



Seguono
alcune immagini di Villa Franca (Villa Rappini)
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