>
29 settembre 2013: 1a
tappa del Gruppo “In
difesa dei Beni Archeologici”
a
cura di Roberto Vallecoccia e Vittorio Del Duca
Le
Ville di Suso -
prima
parte
Si
riparte in settanta con le passeggiate archeologiche
La
visita alle ville è stata possibile solo grazie alla collaborazione dei
Signori:
La
Penna Maria e Fausto, e gli eredi di Villa Rinaldo, Luigi Villa , Kamps
Christopher, Francesco Saverio Lombardini, Giovanni La Penna.
Quella
di domenica 29 settembre non è stata la passeggiata più semplice tra
quelle organizzate dal gruppo In Difesa dei Beni Archeologici,
anzi le preoccupazioni dei giorni precedenti per la riuscita dell'evento
erano tante, e tra queste anche le brutte previsioni meteo.
Ma
grazie al grande lavoro svolto negli ultimi due mesi da Roberto
Vallecoccia, che ha coinvolto i proprietari delle ville e trovato il
percorso migliore, grazie alla disponibilità accordataci dai signori Luigi Villa, Kamps
Christopher, Francesco Saverio Lombardini e Giovanni La Penna, grazie
alla grande
sensibilità dimostrata dai partecipanti, sempre più numerosi, e grazie
alla fiducia di tutti nei confronti del nostro progetto di riscoprire i
tesori sparsi sul territorio di Sezze, che rischiano di scomparire per
sempre anche dalla memoria, possiamo dire di essere soddisfatti per la
riuscita della prima tappa di questo nuovo ciclo di passeggiate.

la
visita alla villa "La Penna" è stata gentilmente concessa dal signor Giovanni La Penna
(nella foto sotto)




foto
scattata da Francesco Saverio Lombardini



















visita
ai resti
della villa
Pilorci

Giovanni
Pilorcio, Cavaliere de S.S.
Maurizio e Lazzaro, con i figli ben visibili nel quadro esposto nella
chiesa di San Giuseppe. Sotto sono evidenziati i particolari del quadro
che ritraggono i personaggi citati.
Francesco
Pilorci del 1606 - Biagio Pilorci del 1604





la
visita alla villa "
Villa" è stata concessa dal signor Luigi Villa (a sinistra nella
foto)
sopra
lo stemma della villa e sotto la piccola cappella di famiglia

Solo
un particolare della villa Masella visitata grazie a Pimpinella Simone,
attuale proprietario

Descrizione percorso
Luogo di Partenza: Sezze, via Melogrosso - parcheggio scuola
elementare Melogrosso
Orario di partenza: 9:00
Orario di ritorno: 13,00 - parcheggio scuola elementare di Melogrosso
Lunghezza percorso 5 Km circa
Difficoltà: Turistico - Escursionistico
Tempo di percorrenza: 4 ore circa (con ritorno al parcheggio)
Raccomandazioni: Calzature comode e acqua al seguito.
In
questa nostra prima passeggiata visiteremo
le ville storiche delle famiglie La Penna, Villa e Pilorci, accompagnati dai rispettivi proprietari:
Sig. Giovanni La
Penna, Sig. Luigi Villa, Sig. Kamps Christopher, il custode Sig.
Giancarlo Manni e il Sig. Francesco Saverio Lombardini.
Tutti
hanno
accolto il nostro invito con grande entusiasmo, quasi
attendessero l'iniziativa da molti anni, ed in effetti stiamo parlando
di luoghi, dai più dimenticati, che hanno fatto la storia di Sezze dalla
metà del XVIII al XIX sec.
In
breve
Domenica
29 settembre riprendono le passeggiate archeologiche con "Le ville
di Suso". Erano le ville dei notabili del paese (i signùri), quasi
sempre poste al centro di una vasta tenuta in cui la vigna, con le sue
ricche ed antiche
varietà di uve, aveva sempre un posto d’onore. Tra i filari delle
vigne non mancavano alberi di ogni genere di frutta, ma anche i classici
ornelli e cespugli di rose perchè prediletti dagli insetti predatori di
quelli nocivi alla vite. Era la lotta biologica praticata dai nostri avi
per difendere i vigneti. I proprietari le abitavano con la famiglia solo
nei mesi estivi e tornavano in paese per S.Luca (18 ottobre) “A San
Luca radduca” recitava infatti un detto sezzese. Nelle tenute
restavano solo i nuovi immigrati “susaroli” , provenienti dalla
Ciociaria, che le coltivavano secondo i contratti agrari vigenti
all’epoca, in particolare la colonia e la mezzadria. Era in uso
concedere ai coloni un piccolo orto, dove potevano costruirsi la capanna
in cui abitare e dove allevare animali per le loro esigenze. I coloni
divenivano quindi i custodi delle ville.

Villa
Vittorio La
Penna
La
storia
Suso per Sezze ha sempre rappresentato il campo superiore dove rifugiarsi dalla palude durante la stagione estiva e rinfrancarsi dei sui frutti. La stessa etimologia della parola Suso “volto dal basso in alto, volto in su”, indica la sua posizione “superiore” rispetto al campo inferiore Setino. La conca di Suso nel 1800 era una grande area verde posta tra i 200 e i 500 metri sul livello del mare, ricca di fonti d’acqua: Fontana dell’Oro, Fontana Capucciglio, Fontana del Sordo, Fonte Sagliuta, Fonte del Pozziglio, Fonte in S. Maria delle Grazie, Fonte delle Fontane, Fonte della Crocetta, Fonte Nocecellitto, Fonte della Penna già Fonte Scopiccio, Fonte della Valle e della Mezza Valle già Fonte Carnebianca.
Scrutando le pieghe del tempo si apprezzano i gesti antichi ripetuti da generazioni, che attingevano l’acqua dalle preziose fonti, non essendocene alcuna dentro le mura, per dissetarsi, apprestandosi ad esse con il concone, ritenuto responsabile della bassa statura di intere genie perché le mamme ed i figli percorrevano lunghe distanze con il concone pieno d’acqua sulla testa, pregiudicando così la futura statura dei loro bambini, che schiacciati da tanto peso “crescevano poco in altezza”.
Grazie all’abbondanza di acqua, altrettanto ricca era la fauna, come testimoniato negli scritti “Storia e Storie dell’Agro Pontino nel XVIII secolo”,
che pur facendo riferimento ai monti di Sermoneta non può certo circoscriversi territorialmente solo alle zone citate, ma ragionevolmente si può estendere all’intero territorio dell’Agro Pontino.
“Nel febbraio del 1755 è riferito che per i monti di Sermoneta «vi è quantità di beccacce e “caioni” senza parlare di tordi e verzelle e se ne ammazzano molte. I tordi sono grassi assai. I caioni sono magri un poco». Quale dovette essere l’abbondanza della caccia nell’Agro Pontino lo possiamo facilmente desumere dall’elenco degli animali da preda osservati dai cacciatori cioè cinghiali, capri, cervi, gatti selvatici, lupi, faine, cani, puzzi, ghieri, fagiani, galline, pratarole, beccacce, pizzarde, palombacci, oche marine, anatre, capoverdi, pavoncelle, gru, oche matricine, uccelli lepri, folaghe, cicogne, porcelloni, tonni, gallinelle, caparoli, rauli, cucchiaroni, giesuiti, picchi, uccelli, vaccari cigni in similitudine, arpie, anatre marine, piveri, corvi marini, stornalle, uccelli mulattieri, caioni bianchi e frateschi, pizzardelle, re delle quaglie, beccacce marzarole, tordi palombini, cicogne fratesche, gazzelle, calandre, beccafichi d’inverno, passere terragnole, occhiotte, muti, rondoni di notte, marangoni, grocolini, colafiamme, cicinterne, verdoni, contignose, caponeve, sbusafratte, passere carnacole, uccelli martini, storni, ciarlotti, ficaroli d’acqua, cercitelle, succhiaroli, falchi reali, pizzardoni, piovarelli, quaglie, upupe, piche, cucchi, gufi, civette e tanti altri, che a descriverli farebbero certamente invidia ai nostri giorni.
Dice il cronista che oltre a questi animali si videro negli anni 1748 e 1749 alcuni mai visti prima, con colori così vivi e con una forma così inconsueta, per il collo lunghissimo ed il becco schiacciato, da sembrare fenicotteri esotici. Così anche in quegli anni furono uccisi numerosi e rari gallinacci di montagna. La caccia, pur non essendo più quella dei tempi precedenti agli schioppi e agli archibugi, veniva esercitata per servire in buona parte le mense sia dei ricchi che dei meno abbienti. Le popolazioni del Lazio, infatti, insorsero contro l’arbitrio che toglieva ai poveri l’uso degli animali selvatici.”
Nel 1800 circa non più di dieci famiglie benestanti e potenti di Sezze (che spesso preservavano i loro patrimoni con matrimoni “mirati”), trascorrevano la stagione estiva nelle loro tenute nella Conca di Suso costituite da un grande appezzamento di terreno in posizione predominante, coltivato e piantumato con alberi da frutto e da una massiccia costruzione in pietra di almeno due piani con solai in parte a volta in pietra ed in parte in legno di cipresso o di castagno, con porte e finestre a piccolo taglio, con un manipolo di camini e con i fuochi della zona cottura che si estendevano sull’intera parete della cucina ed il “bagno”, un lusso anche per loro, nel fossetto con il passone di traverso. La costruzione era corredata da una grotta interrata, una rimessa per il raccolto, la stalla, il forno ed il pozzo di acqua sorgiva e la cisterna di raccolta delle acque piovane, ed una cappella. Erano tanto ben fatti che ancora oggi è possibile ammirarne l’originaria bellezza. Per la restante parte dell’anno la cura della tenuta era affidata a coloro che invece risiedevano stabilmente a Suso, quasi sempre nelle sue immediate vicinanze. Essi coltivavano le fertili terre a grano e granturco nella zona delle Fontane, raccoglievano i frutti degli alberi di melo e melo cotogno, di ciliegio, ciliegio marino, visciolo, fico, albicocco, pruno, per farne marmellate e profumare i guardaroba, di olivo, dei vitigni di ottonese (oggi assai rari), ed ancora sorbole, noci e nocciole. Curavano le macchie di querceti, di farnia, cerro, roverella, rovere, aliena, leccio, sughera, tasso, castano, i cui frutti servivano a sfamare gli animali domestici. Usavano la stramma per realizzare le coperture delle capanne, spesso prive di muri di sasso in quanto a Suso i sassi erano scarsi, e con il pavimento in terra battuta, che veniva mantenuto lustro dalle galline che a fine pasto avevano la stessa efficacia di una moderna potente scopa elettrica, perché pizzicavano le pochissime molliche di pane “sfuggite” al frugale pasto. Poco o niente veniva buttato di tutto quello che si produceva ed anche gli scarti avevano il loro compito, come gli “sfogli” di granturco che si usavano per imbottire i materassi, decorare la casa, o il distillato dei frutti del cipresso si usava per curarsi dalle febbri malariche.
Sempre nei primi anni del 1800 a causa delle numerose guerre tra il Regno Pontificio ed il Regno Borbonico lungo il confine del fiume Liri, molte genti di quei luoghi decisero di trasferirsi nella conca di Suso, luogo assai simile ai loro luoghi originari.
Da ricerche effettuate presso l’Archivio Storico di Sezze sono emersi luoghi di nascita, tratti somatici, domicilio e mestieri, delle genti arrivate a Suso.
Di seguito l’elenco dei luoghi da cui, nel 1800, sono arrivate le genti che hanno “colonizzato” la Conca di Suso che non sapevano confrontarsi con la Palude, preferendo un ambiente montano, tanto che si sono insediati nella zona definita già Bivio della Pietà, a nord-est di Suso:
Acuto, Alatri, Amaseno, Anagni, Aquino, Arce, Arnara, Arpino, Atina, Boville Ernica, Campoli Appennino, Casalattico, Castro dei Volsci, Castrocielo, Ceccano, Ceprano, Colfelice, Collepardo, Ferentino, Filettino, Frosinone, Giuliano di Roma, Guarcino, Monte San Giovanni Campano, Morolo, Pastena, Patrica, Pescasseroli, Pico, Piedimonte San Germano, Pofi, Pontecorvo, Posta Fibreno, Ripi, Rocca d'Arce, Roccasecca, Santopadre, Sarzana, Sora, Strangolagalli, Supino, Torrice, Trevi nel Lazio, Vallecorsa, Veroli, Vico nel Lazio, Villa Santo Stefano, Avezzano, Matera, Macerata.
Le popolazioni provenienti dai Colli Albani, Cori, Velletri, Giulianello, Marino, Segni, Colleferro, Montelanico, Carpineto, Spoleto, per lo stesso problema di adattamento alla palude si sono insediate nella conca di Suso a nord-ovest.
Tra il 1500 e 1800, invece, altre popolazioni, in grado di confrontarsi con la Palude Pontina in quanto già esperte di bonifica, si insediarono a Sezze città, precisamente al Guglietto provenienti da Cerveteri, Castiglione, Hechingen, Sigmaringen, Labastide-Murat, Ajaccio, Ascoli Piceno, Cesena, Bologna, Recanati, Ferrara, Ravenna, Codigoro, Valli del Comacchio, Austria e Francia.
Tale vivacità demografica è causa delle divere flessioni dialettali del territorio che è tanto marcata quanto variegata.
Anche le genti di Sezze si trasferirono a Terracina, Ceprano, Velletri, Sermoneta, Roma, Bauco, Ripi, Ravenna, Ferrara, Codigoro, Valli del Comacchio, Libia, Brasile e Stati Uniti d’ America già alla fine del 1800.
In questo quadro estremamente mutevole il fenomeno del brigantaggio rivestì un importante ruolo, annoverando tra i suoi protagonisti non solo povera gente ma anche esponenti di famiglie ricche e potenti.
Le
ville riportate nella cartografia sono riferite alla seguenti famiglie:
Valentini, De Magistris, Pilorci, Torchi, Boffi, Villa, Bertoni,
Tirletti, Torre Masi, Fasci, Carnebianca, Pasqualetti.
Altre
ville riportate sulla carta ma prive di nomi sono: Di Capua, Torre
Lombardini, Zaccheo, La Penna, Caciari, Capozi, Cerroni, Pani, Sara,
Masella.
foto
aerea dell'IGM - anno 1954
|