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Titta Zarra |
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13 maggio 2014 don Titta Zarra nel ricordo di Lidano Serra Don Titta Zarra, il Parroco del Sorriso Lunedì 31 marzo 1969 la Radio Vaticana, con il titolo “ Operaio delle onde”, dava il seguente commosso partecipato annuncio :
(da “Ecclesia Mater” – 2/69 – Pag. 127) >>.
E mi sembra che questo lo dici a quanti siamo qui atterriti per la tua scomparsa subitanea; tu sembri dircelo sorridendo, come sapevi fare e come spiritualmente fai anche in questo momento, rivolgendoti a ciascuno di noi: “non è un’oscurità la mia morte. … Non è vero, forse, che in un giorno in cui la Chiesa annuncia 35 nuovi cardinali, proprio in quel giorno, a me don Titta è stata data una porpora di sangue, a confessare davanti a Dio e al mondo il mistero del mio sacerdozio?”. … >>.
<<… C’è una parola oggi che è di moda ma di cui – pare – si abusa. Questa parola è Libertà.
<<… Artista, poeta, saggista, agiografo, drammaturgo, teologo di sicuro polso, don Titta, è stato soprattutto parroco, cioè pastore e direttore di anime: lo scintillio delle immagini, il fascino del ritmo, l’ardimento dei pensieri … corrono in lui verso il golfo misterioso del dolore e dell’amore per la luce ed il conforto delle anime, soprattutto di quelle anime scosse dal dubbio e travolte dal peccato. Una “theologia vitae” che è “theologia mentis et
cordis” perché “theologia crucis” la sua, senza ghirigori e tutta impeto di spirito evangelico. Aveva perciò orrore di ogni esibizione personale ed i pochi scritti che ha dato alla luce volevano solo orientare ed accendere una fiamma di bene e di speranza …>>.
<<… Non te la senti di amare così, scriveva il 26 ottobre 1955, Guarda che è l’unica maniera di amare, perché così si espia soltanto, non c’è altro metodo e altro mezzo, segretamente per l’umanità tua e degli altri. Dì come me … le parole ultime. Vincerai perché risorgerai e trascinerai anime dietro a te. E’ un ragionamento base che sembra sconvolgere la logica,ma che è l’unico, dato che tu sei il mio sacerdote. Se guardi però a fondo nella mia imitazione ci trovi la pienezza della ragione. Tu devi come me salire sulla Croce e devi spargere il tuo sangue con me e per me. Non lo predissi agli apostoli? Lo predico anche a
te>>.
<<La predizione, caro indimenticabile don Titta, si è avverrata alla lettera un mese fa tra il costernato dolore di noi tutti. Hai versato il sangue
sull’afalto, sulla via che conobbe un quarto di secolo del tuo apostolato. Avevi scelto come motto “mea nox obscurum non
habet” e nelle tue note leggiamo questa tua idea cardine che ci sgomenta e insieme ci allegra il cuore: “Conosco – scrivevi – dei sacerdoti che fin dall’ingresso nella loro parrocchia non ebbero se non tribolazioni e noie, incomprensioni, disprezzo anche da parte dei superiori. Ebbene, questi umili sacerdoti hanno edificato chiese non solo materialmente ma anche spiritualmente. Tutto sta a vedere me con te. Non temere: per quando il demonio si scateni con calunnie, con accuse anche violentissime non ti potrà torcere un capello”. Così colmo di questi pensieri dell’amore che è forte più della morte, il nostro fratello in Cristo, don Giovanni Battista
Zarra, parroco di Santa Parasceve in Sezze, ha compiuto il suo martirio reclinando il sabato di Passione il suo capo schiantato e inporporato di sangue per amore delle
anime>>.
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29 marzo 2002 - giorno di venerdì santo piazza Margherita A 33 anni dalla sua scomparsa, Sezze scopre una targa e intitola a don Titta Zarra il palazzo della cultura in piazza Margherita |
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NOTA
BIOGRAFICA Nato
a Sezze l'8 aprile del 1917, (giorno di Pasqua) Giovan Battista Zarra è
ordinato sacerdote il 23 giugno 1940 ed è parroco di Santa Parasceve in
Sezze a partire dal lo
aprile del 1946 fino alla
morte, avvenuta il 29 marzo 1969 sulla via Appia, all'incrocio con la
SS. 156 per incidente stradale. Questa attività di scrittore, per quanto nessuno di questi primi quattro drammi sia stato pubblicato, lo mette in contatto col mondo teatrale professionistico, in particolare con l'attore e accademico Carlo Tamberlani e suo fratello Ferdinando, regista teatrale che aveva fondato, nel 1945 ad Assisi, l'Istituto del Dramma Sacro. Di questo istituto don Titta diviene membro della Presidenza come consulente religioso e per esso, con Ferdinando Tamberlani, riscrive Il miracolo del corporale nel 1950, una sacra rappresentazione dei XIV secolo che viene portata in scena numerose volte dopo la prima di Orvieto, sul sagrato del Duomo |
a cura di Giancarlo Loffarelli La decisione del Comune di Sezze di intitolare il Palazzo della Cultura a don Titta Zarra è un atto che rende finalmente omaggio ad un uomo e ad un sacerdote che alla cultura ha dedicato tutta la sua vita. A molti, soprattutto giovani, potrà sembrare incredibile che le personalità più prestigiose del teatro italiano degli anni Cinquanta abbiano interpretato testi di don Titta Zarra o che Radio Vaticana trasmettesse quotidianamente testi di vario argomento scritti da lui; oppure che papa Pio XII lo definisse "la penna d'oro" o, ancora, che don Titta potesse intraprendere relazioni epistolari con i più grandi intellettuali italiani del momento. Tutto questo, e ben altro, fu e fece don Titta Zarra, una delle personalità più illustri di Sezze, di cui i setini vanno giustamente orgogliosi. |
La nota biografica e la premessa sono tratte dal libro di Giancarlo Loffarelli "La scrittura teatrale di don Titta Zarra" pubblicato dal Consorzio delle biblioteche dei monti Lepini nel 1992 Nella foto il vescovo Giuseppe Petrocchi in compagnia di Giancarlo Loffarelli |
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Con
la Presidenza dell'Istituto del Dramma Sacro fu ricevuto da Pio MI il 18
febbraio del 1956, da quello stesso Pontefice che lo avrebbe definito
"penna d'oro", per la sua intensa collaborazione con la Radio
Vaticana. Con
la Radio Vaticana don Titta comincia a collaborare ai primi anni '50 e
tale collaborazione durerà fino alla morte. Sono quasi vent'anni di
attività intensissima: più di trenta fra radioscene e radiodrammi
scritti e trasmessi dall'emittente vaticana; nel 1956 scrive delle
conversazione radiofoniche dal titolo Il
libro rosso, esperienza che ripete l'anno successivo con Il
libro rosso della Chiesa perseguitata (15 conversazioni radiofoniche
sui martiri per due voci recitanti e musica); le Elevazioni
bibliche (commenti alla Sacra Scrittura) nel 1956, 1958 e 1960;
sempre sulla vita dei martiri scrive, nel '58, Sanguis
martyrum; Milizia di Dio nel 1959 e 1960; i Pensieri della
sera, brevi pensieri edificanti; ininterrottamente dal 1961 fino
alla morte scrive le Xilografie, recensioni
radiofoniche di libri di varia natura; ed una sterminata quantità di Elevazioni domenicali, di pensieri per il Mese del Sacro Cuore, Umanità dei Santi, Elevazioni Radio-quaresima, Dialoghi della fede. Alcuni momenti della cerimonia del 29 marzo a cui hanno partecipato: oltre alle autorità locali, numerosi concittadini, i parenti di don Titta Zarra, il vescovo Petrocchi, don Renato Di Veroli, l'avvocato Antonio Campoli in qualità di presidente del centro studi "don Titta Zarra" e l'autore della targa Cherubini. (foto della cerimonia di Carlo Luigi Abbenda) Durante
questo lungo periodo continua la sua attività di scrittore anche fuori
della Radio Vaticana. Nel 1953 pubblica il suo primo libro, un saggio su
S. Lidanopíoniere della bonifica
pontina e lo studio svolto sul Santo benedettino costituirà la base
per la pubblicazione del romanzo Il
saío e la bestia nel 1961. Capita
qualche volta: la produzione di don Titta che appare cosi disordinata
nei temi (per cui, ad esempio, in uno stesso periodo egli lavora a più
cose di argomento totalmente diverso) si focalizza, in dei periodi, su
qualche argomento che, evidentemente, gli sta particolarmente a cuore.
E' così con S. Lidano; è cosi pure per Lutero, su cui egli scrive il
dramma omonimo nel 1968 ed attorno al quale stava lavorando da tempo,
poiché nel n. 2 della rivista "Mater Ecclesiae"
dell'aprile‑giugno 1969, appena qualche mese dopo la sua morte
appare il breve brano di un articolo che don Titta stava
scrivendo per quella rivista e che la morte improvvisa interruppe: Il
mistero del male nella decadenza interiore di Lutero. Il
riferimento a "Mater-Ecclesiae" ci permette di aprire il
discorso sulla collaborazione alle riviste. A questa rivista ed a quella
"gemella" "Ecclesia Mater'' edite da "Cor Unum"
Figlie della Chiesa, don Titta collabora a partire dai primi anni '60
con numerosissimi articoli e saggi. Si tratta, oggi, forse di riviste
poco note ai più ma che contavano firme prestigiosissime, come Pietro
Prini e Comelio Fabro. Collabora
intensamente anche a "Tabor", la rivista diretta da Luigi
Gedda, dal 1961 fino alla morte. E' una collaborazione che spazia sui più
svariati campi, ma che, a tratti si concentra, caparbiamente, su qualche
tema specifico. Si pensi, ad esempio, che per tutto il 1962 appaiono
sulla rivista otto articoli di don Titta sul tema degli angeli: dalle
figure angeliche nella Sacra Scrittura agli angeli nella Divina
Commedia. Il che dimostra la straordinaria abilità analitica di don
Titta, oltreché la sua notissima abilità di sintesi. Per
il breve periodo che durò, collabora anche con la rivista teatrale
"Il fuoco", insieme a due suoi grandi amici: Bonaventura
Tecchi e l'ex rabbino, poi convertito al cristianesimo, e docente
universitario Eugenio Zolli. L'intensa
attività intellettuale non‑ ha mai impedito a don Titta di vivere
appieno la vita sacerdotale e spirituale in genere che, anzi, sono state
uno degli alimenti più importanti di quella. Di ciò è testimonianza
una vastissima produzione di appunti, diari, note per esercizi
spirituali. Ed è altresì testimonianza la quotidianità della vita di
parroco, l'assistenza spirituale alla FUCI di Sezze, al Circolo
Culturale "Corradini", al "Cenacolo" fra gli artisti
a Latina. Una
vita, dunque, intellettuale, spirituale ed umana, tanto diffusa in
molteplici attività così diverse ma unificate da un medesimo spirito,
quello, possiamo dire, espresso dai due motti che don Titta usava
ripetere ed appuntare sul frontespizio delle sue opere, a penna: ''Mea
nox obscurum non habet" (la mia notte non ha oscurità) e quello di
santa Giovanna D'Arco: 'l'irai... dussé‑je user mes jambes jusqu'aux
genoux" (andrò avanti... dovessi consumare le mie gambe fino alle
ginocchia). Dopo
la sua morte, numerosissimi articoli cercano di far conoscere o
ricordare, su giornali e riviste, la vita e la produzione di questo
prete scrittore. Il padre Cornelio Fabro, uno dei massimi filosofi e
storici della filosofia cerca di ricostruirne, a più riprese,
l'avventura spirituale ed intellettuale in numerosi saggi. Fra i tanti articoli, piace ricordare, su "Il borghese" dei 19 giugno 1969 (a pagina 398) quello di Giuseppe Prezzolini, con il quale don Titta aveva iniziato un amichevole carteggio, per quanto i due non si fossero mai incontrati. Dovevano completare la loro amicizia appena iniziata con una visita di Prezzolini a Sezze, quando don Titta fu sottratto fisicamente ai familiari, ai parrocchiani, a Sezze, alla cultura italiana. Il laicista ed anticlericale Prezzolini salutava così quello che egli stesso definiva un "amico mai conosciuto». |
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"(
.. )
figure
di angeli affini e serene guardano
giù dalla volta; e che momento
felice sarà, quando un giorno
si ridesteranno insieme!" (j.W. Goethe, Die Wahlverwandtschaften) Nella foto don Titta Zarra viene ricevuto da Paolo VI |
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PREMESSA tratta da "La scrittura teatrale di don Titta Zarra" Quando
Don Titta Zarra scomparve avevo otto anni. E tutto ciò che posso
ricordare è la folla, composta per lo più da misteriosi forestieri,
che sfilò dietro il carro funebre lungo il percorso abituale di ogni
funerale, nel nostro paese. Stando
così i rapporti biografici, il mio primo contatto con don Titta fu di
tipo intellettuale, quando, per la prima volta, mi capitò fra le mani
una sua opera. Si trattava di Pellegrinaggi
umani, una raccolta di
brevi racconti ispirati a fatti di cronaca della vita parrocchiale ed a
fatti della cronaca più
grande, quella di cui egli
aveva notizia dal giornale o dai giornaleradio. Aprii
quel libro dalla copertina chiara con l'immagine di un uomo che
passeggia tra alberi spogli, nella certezza di trovarvi il linguaggio
comune a tanta letteratura provinciale, d'ambiente cattolico e non, quel
linguaggio che cerca di ostentarsi colto attraverso il periodare lungo e
complesso, attraverso l'uso di termini aulici e strutture sintattiche
fuori moda: il tutto per esprimere contenuti melensi e noiosi, adatti più
agli spiriti meticolosi che cercano negli interstizi della vita passata
di cose e persone, che alla soddisfazione del desiderio di svago
intellettuale. Bastò
la lettura di un paio di righe della prima pagina per rovesciare
totalmente quel mio pregiudizio. L'effetto fu devastante: mi trovavo di
fronte a qualcosa che non aveva niente a che fare con la provincia, la
sagrestia, le atmosfere crepuscolari o cose del genere. Non
andai avanti nella lettura. Evidentemente ciò che avevo scoperto, o
intuito di scoprire, era così sconvolgente che, forse per non voler
ammettere d'essermi sbagliato, non proseguii nella lettura. Quell'impressione
però, cosi subitanea e sfuggente, mi accompagnò per molto tempo. Me ne
rendevo conto quando, avvicinandomi ad intellettuali che avevano dato
molto al teatro, al cinema, alla narrativa, ma che erano stati
valorizzati tardi, per lo più postumi, mi tornava puntualmente davanti
la figura dimenticata di don Titta. La
conferma che quella immediatamente successiva al primo contatto con Pellegrinaggi
umani non era stata un'intuizione dettata dal desiderio di trovare in don Titta
ciò che io volevo trovarvi, la ebbi quando potei prender visione ed
analizzare con calma le sue opere, ed in particolare quelle dedicate al
teatro. Scoprii allora che Sezze aveva dato i natali ad un uomo che non
può che essere, e dunque deve
essere
collocato fra i drammaturghi notevoli dei secondo dopoguerra. Sia nelle
idee, sia nella forma che egli cerca di dare a queste idee, cogliamo
infatti una sensibilità alle problematiche più
intime della persona, intesa sia nella sua dimensione privata che in
quella pubblica; e cogliamo pure una capacità di padroneggiare lo
strumento teatrale che, a volte innestandosi nel tronco della
tradizione, altre volte echeggiando atmosfere da avanguardia, riesce a
coinvolgere il pubblico senza nulla svendere ai fini del plauso. Giovan Battista Giorgi con il vescovo Petrocchi e don Renato Di Veroli Un'analisi
attenta della sua attività di drammaturgo, illuminata anche dal suo
impegno di animatore del mondo teatrale, come assistente dell'Istituto
del Dramma Sacro e come collaboratore della Radio Vaticana, ci conduce
alla scoperta di un mondo ricco di umanità, aperto alle diversità
culturali, attento a mai separare il teatro dalla vita, l'attività di
scrittore a quella di sacerdote. Col rimpianto di non aver potuto godere
ulteriormente della sua vena artistica, causa la prematura scomparsa,
resta anche il rimpianto di non poter conoscere tutta la sua produzione.
li carattere di don Titta, infatti, la sua stessa coscienza della
funzione dell'arte, lo spinsero ad un totale disinteresse Se
questo aspetto lascia al ricercatore un, senso di frustrazione, al tempo
stesso, all'amante del teatro comunica un sentimento più complesso,
fatto per metà di rimpianto pianto per non poter godere di tutta
l'opera, ma per metà pure di piacere nel sapere Non
vi è, dunque, certamente in don Titta il vezzo del letterato che,
credendo di essere Dante, cura minuziosamente l'immagine di sé
attraverso la conservazione meticolosa dei suoi scritti, anche quelli più
insignificanti. Al contrario, vi è l'uomo, soprattutto di teatro, che
se scrive è perché ha un urgente bisogno di render cosa reale i
fantasmi che gli si muovono dentro ed ha davanti soltanto l'effetto che
ciò dovrà produrre in chi ascolterà la trasmissione alla radio o vedrà
lo spettacolo teatrale. E
non si può non guardare con simpatia a questo atteggiamento
intellettuale, nella certezza che nessuna conservazione meticolosa può
legittimare il valore di un autore; mentre viceversa, laddove un qualche
valore esiste, anche a distanza di secoli, riuscirà ad affermarsi,
dovesse pure farsi strada solo attraverso frammenti. L'augurio
sincero è che, se questo lavoro potrà contribuire, anche solo
minimamente, a far conoscere don Titta drammaturgo, altri lavori
possano, un giorno, far conoscere il don Titta poeta, romanziere,
saggista, scrittore ascetico e pastore d'anime. Un
ringraziamento sentito a quanti mi hanno incoraggiato in questo non
facile lavoro; alla famiglia di don Titta che fece dono delle sue opere
alla Curia di Latina; a Sua Eccellenza Monsignor Pecile che mi diede
l'opportunità di prenderne visione e studiarle; a don Nicola Loiudice,
amico fraterno di don Titta, che le riordinò; al professor Luigi
Zaccheo che mi ha dato la possibilità di pubblicare quest'opera; alla
dottoressa Maria Cherchi che con squisita gentilezza e profonda
competenza mi ha offerto utilissimi suggerimenti. Il
libro "La
scrittura teatrale di don Titta Zarra" si può richiedere presso la
biblioteca comunale |