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AGRICOLTURA DA SALVARE |
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a cura di Vittorio Del Duca mail: agridelduca@libero.it sito: Azienda agricola Del Duca |
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Salviamo la nostra risorsa principale Sezze, 28 novembre 2023 La
carne coltivata è davvero amica dell'ambiente? A
parte l’aggettivo “coltivata”, da sempre appartenuto alle
coltivazioni agricole, sarebbe più opportuno e serio chiamarla “carne
sintetica” perché prodotta in laboratorio dai bioreattori. La verità
è che si tratta di una tecnologia ancora agli albori, e al momento non
è chiaro se sarà mai conveniente sul piano della sostenibilità
economica ed ambientale. Tra
i traguardi portati a casa dall’attuale governo Meloni c’è il
divieto di produrre e distribuire carne coltivata nel nostro Paese e
l'uso di nomi come “bistecca” o "salame" per indicare
alimenti a base vegetale, ma soprattutto il divieto di produrre,
consumare e mettere in commercio alimenti prodotti in laboratorio da
cellule animali. E’ una legge fortemente voluta da Coldiretti, che
attraverso una raccolta firme a livello nazionale ha ricevuto il
sostegno dei cittadini consumatori e di gran parte dei Comuni tra cui
Sezze e delle Regioni italiane. Cldiretti
è impegnata nell’interesse del Paese a sostenere la candidatura della
cucina italiana a patrimonio dell’Unesco ed il Made in Italy dal campo
alla tavola conta ben 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende
agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della
ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Una rete diffusa
lungo tutto il territorio che quotidianamente rifornisce i consumatori
italiani, ai quali i prodotti alimentari non sono mai mancati nonostante
la pandemia e la guerra. Non
è un caso che le esportazioni alimentari Made in Italy nel 2023 hanno
fatto registrare un record storico dell’8%, secondo l’analisi della
Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero relativi ai primi otto
mesi dell’anno che indicano un ulteriore balzo sul primato di sempre
di 60,7 miliardi fatto registrare nel 2022. Tra i principali Paesi, ad
essere cresciute di più nel 2023 sono le esportazioni alimentari verso
la Francia, con un balzo del 14% davanti alla Germania (+11%) e alla
Gran Bretagna (+11%) anche se arretra leggermente per la prima volta
negli Stati Uniti (-3%). È un record tutto italiano trainato da un’agricoltura che è la più green d’Europa con la leadership Ue nel biologico. Conta
80mila operatori ed il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg
riconosciute (325), 526 vini Dop/Igp e 5547 prodotti alimentari
tradizionali. I mercati di Campagna Amica di Coldiretti sono la più
ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. L'agricoltura
è una grande pilastro e una forte componente dell’economia italiana
che non possiamo permetterci di perdere e la candidatura Unesco della
cucina italiana è un riconoscimento dell’immenso valore storico e
culturale del patrimonio enogastronomico nazionale che è diffuso su
tutto il territorio e dalla cui valorizzazione dipendono molte delle
opportunità di sviluppo economico e occupazionale del Paese. A
differenza
delle emissioni industriali, ”il metano prodotto dagli allevamenti è
riassorbito in tempi rapidi dalle piante e rientra nel ciclo
vitale", scrivono in una nota Coldiretti e Filiera Italia,
proseguendo: "Dopo circa dieci anni, il metano atmosferico (Ch4) è
scomposto in acqua (H2o) e anidride carbonica (Co2): quest’ultima
molecola verrà riassorbita proprio dalle piante, le stesse che
diventeranno nutrimento per i bovini, per riattivare il ciclo". In
questo consisterebbe la principale differenza con le emissioni derivanti
dall’attività industriale, che "si accumulano in atmosfera e vi
permangono anche per 1000 anni". Viene poi citata la nuova
misurazione del Global Warming Potential, che sottolinea la breve durata
della permanenza del metano in atmosfera. Dall’altra
parte i potenti della terra come Mark Zuckerberg, Richard Branson e
Kimbal Musk (fratello di Elon) stanno investendo enormi capitali per
impadronirsi dell’agroalimentare mondiale. La loro millantata
“tutela della salute umana e del patrimonio agroalimentare” ha ben
poco a che fare con la coltivazione in laboratorio di bistecche,
hamburger, cotolette e polli, ma i rischi di veder arrivare in tempi
rapidi sulle tavole mondiali prodotti di questo tipo in tempi rapidi e
soprattutto a costi competitivi sono pressoché inesistenti. Come
molte tecnologie innovative, che la carne sintetica si possa rivelare
non solo economicamente sostenibile, ma anche realmente meno inquinante
degli allevamenti tradizionali, al momento è ancora tutto da
dimostrare. Nonostante gli investimenti miliardari, gli esempi concreti
in campo commerciale sono ancora pochissimi: le piccole start-up
statunitensi, producono modeste quantità di carne coltivata a prezzi
proibitivi per i consumatori, lavorano
in perdita, pur di ritagliarsi visibilità sul mercato. Quindi,
calcolare quanto si possa inquinare per produrre carne sintetica la
scienza che appoggia i potenti della Terra ha ancora difficoltà ad
esprimersi, perché ovviamente è solo passando all’economia di scala
che si può valutare il reale impatto di una nuova tecnologia. In
alcuni ristoranti statunitensi ed israeliani dove è possibile consumare
questa carne sintetica, i costi sono altissimi e oltretutto, come ho
avuto modo di appurare personalmente, fanno firmare una liberatoria
circa i rischi sulla salute immediati e futuri. Quel
che è certo è che anche la carne coltivata produce, e produrrà
necessariamente anche in futuro, emissioni: infatti i bioreattori in cui
vengono coltivati i tessuti cellulari, così come gli ingredienti
utilizzati e tutti i macchinari coinvolti nel processo produttivo,
producono sostanze inquinanti e richiedono energia per essere alimentati
e in buona parte del pianeta, questa energia la produciamo ancora oggi
bruciando combustibili fossili, e quindi emettendo CO2. Inoltre, trasformare l’intero genere umano in una specie vegana non è necessariamente la risposta migliore né la più semplice perché alimentare a vegetali 8 miliardi di persone che tra non molto diventeranno 10 miliardi presenta le sue difficoltà. Sezze, 7 febbraio 2022 Agricoltura:
un bene al servizio del territorio Sezze, 5 luglio 2021 Il pane di Sezze Il
cibo ha sempre rappresentato la massima espressione della cultura di un
territorio e della sua storia. Attraverso il cibo e la preparazione di
un pasto un popolo racconta se stesso, le sue radici, le sue tradizioni
secolari e la propria evoluzione. Sotto
questo profilo l’Agro Pontino e in particolar modo Sezze, che prima
della fondazione di Latina è stato il suo più grande centro economico
e culturale, ha molto da raccontare non solo come storia ma anche come
tipicità dell’agricoltura e di eccellenze gastronomiche. Sono tesori
che non tutti i paesi hanno in così gran numero, che hanno reso famoso
Sezze per secoli e che oggi più di ieri potrebbero diventare il
“nostro petrolio”, insieme ai tanti beni artistici ed archeologici
che il Gruppo “In Difesa dei Beni Archeologici” sta riscoprendo da
alcuni anni a questa parte. Il
pane di Sezze e la panificazione è solo una delle espressioni del
territorio, sicuramente la più antica e trae origine dalla qualità dei
suoi grani, secondo quella grande distinzione che accomuna i prodotti
tipici della terra, per cui il terreno, il clima, l’esposizione, la
qualità delle acque, le modalità tecnologiche di trasformazione,
diversificando il gusto e il valore del cibo fanno la grande differenza
con altri prodotti similari. Cicerone
(106 – 43 a.C.) nelle sue “Verrine” chiamò il nostro campo
“fertilissimum” e Dionigi (60 a.C – 8 d.C) lo definì “horreum
et penuarium romanorum” (granaio di Roma). Infatti i nostri campi
rifornirono continuamente di frumento l’antica Roma, specie nei
periodi in cui ne aveva maggiormente bisogno. Nella guerra dei Romani
contro Porsenna (507 a.C.) furono inviati a Sezze i consoli Larzio
Spurio ed Erminio Tito perché comprassero grano. Nel
494 a.C., quando i plebei abbandonato il lavoro si ritirarono sul M.
Sacro (secessione della plebe), furono ancora i nostri campi a rifornire
l’annona di cereali. Lo stesso dicasi al tempo della peste. L’origine
della produzione del pane di Sezze viene fatta risalire al II secolo a.
C., cioè da quando si diffuse l’uso del lievito. Alcuni storici ne
indicano l’epoca nel periodo in cui visse Caio Titinio, ritenuto
l’inventore della “togata”[1],
il quale nella sua opera “La setina”, ovvero la donna di Sezze,
indica le qualità diffuse nella vita familiare dei cittadini di Sezze,
sua città natale, lodando proprio la donna che cura tutte le attività
domestiche e prepara con tanta pazienza ed amore il pane ed il cibo per
l’intera famiglia [2]. Non
è il solo Caio Titinio a narrare queste bellissime cose, poiché due
secoli dopo un altro nostro concittadino, Caio Valerio Flacco Setino
Balbo, nelle “Argonautica” pone al centro della sua opera l’amore
di Medea per Giasone, paragonando questo amore per l’eroe, che si
spinse oltre il mare di Caledonea[3]
a quello della donna del suo paese, Sezze, innamorata del suo uomo,
della sua casa, della sua famiglia, capace di lasciare ogni altro
affetto per seguirne il destino e per costruire con lui una casa, un
focolare e mettere al mondo i figli, assisterli e sfamarli [4].
Ma
se la qualità del grano è importante, quella della farina lo è ancora
di più, in modo particolare nella panificazione a lievitazione naturale
che richiede una molitura non invasiva, a bassa velocità di produzione,
garantita da mulini di tipo artigianale, quindi farine artigianali per
pani artigianali, a prescindere dal tipo di forno, pur se i risultati
ottimali si ottengono con quelli a legna, sempre più rari per la loro
complessità. Un
ottimo pane si fa solo con farine di qualità, acqua pulita, buon sale e
soprattutto con lievito naturale, evitando tutti quei pseudo
“miglioratori” dannosi al nostro intestino. Da
ciò si deduce che un ottimo pane non può prescindere da nessuno di
questi elementi, è un’arte nota a Sezze da secoli ma che la
globalizzazione sta cercando di vanificare con successo attraverso
prodotti omologati a costo zero, piuttosto che a km zero. Come
reazione, negli ultimi anni si stanno riscoprendo da più parti i grani
locali antichi. Il grano locale permette di stabilire il tipo di grano
impiantato secondo la tradizione, la riduzione dei costi energetici di
trasporto e la possibilità di creare una filiera corta, ma non basta,
occorre spingersi oltre ed avviare un processo virtuoso che metta insieme le esigenze e le
aspettative, spesso contrastanti, di tutti gli operatori di filiera:
contadini, mugnai e panificatori. È più facile a dirsi che a farsi
ma è una priorità per difendere i nostri territori e le nostre
tradizioni enogastronomiche. Lo stanno già realizzando per conto loro
gli agricoltori della Fondazione Campagna Amica di Coldiretti, ma è
necessario estendere ancora di più queste iniziative virtuose, senza
scorciatoie che non servono a nulla, se non a generare confusione nella
confusione (tipo marchio De.Co.). Nel
frattempo, la raccomandazione rivolta ai panificatori di Sezze è quella
di usare le farine dei nostri
campi e più in generale italiane, che fanno la differenza nella qualità
e nella fragranza del nostro pane quotidiano, un pane che sia
simbolo della tradizione che si ripete e si rinnova e che, grazie alle
tante iniziative in corso per una corretta alimentazione, faccia
riscoprire anche e soprattutto nelle scuole, il gusto di una sana fetta
di pane come merenda. [1]
La togata è la rappresentazione teatrale di commedie che mettono in
scena aspetti
della vita quotidiana e delle usanze del popolino nell’antica Roma
e nelle cittadine di provincia. [2]
Francesco Berti – Pensando a Sezze – ra- ra editrice – pag. 29 [3]
Caledonia: odierna Scozia. [4] Francesco Berti – Caio Valerio Flacco Setino Balbo, Firenze, Libri, 1991 Sezze, 3 ottobre 2020 I Granai della memoria, le signòre e i pezzènti Da
antichi documenti di famiglia, tradizionalmente agricola, ho potuto
conoscere alcune varietà di grani antichi e di granturco coltivate a
Sezze e nel resto dell’Agro Romano-Pontino in tutto l’Ottocento sino
ai primi del Novecento. La
varietà più antica pare sia il Monococco
o picccolo farro,
addomesticata 10.000 anni fa in Medio Oriente e diffusasi in tutto il
mondo. Si tratta dell’unico
cereale che a detta dei nutrizionisti, pur contenendo glutine,
sembra non scatenare le classiche reazioni allergiche che si manifestano
negli individui affetti da celiachia
o altre gravi intolleranze alimentari al grano tenero. E’ insuperabile
anche nella preparazione dei dolci di Sezze, in modo particolare paste
di visciole e crostate. Foto di Alessio Cipollini - Lavori in campagna Altra
antica varietà è La Romanella, coltivata
sin dall’epoca romana, fu con ogni probabilità la varietà di grano
che meritò a Setia la fama di horreum
romanorum (granaio di Roma). Tale varietà di frumento, unitamente
alle particolare condizioni pedoclimatiche del territorio è sicuramente
quella che ha reso celebre nei secoli l’arte del pane a Sezze.
Meno
fortunate, a causa della loro estinzione, sono state le biodiversità di
mais di Sezze, come il
granturco Agostano (raccolto
in agosto) detto anche Mondraone,
quello delle paludi alte Spadone,
che si raccoglieva in settembre – ottobre e quello delle paludi basse
a raccolta novembre- dicembre chiamato La
Befana. Non
tutti i chicchi di mais, scoppiettando in padella o accanto alla brace
diventavano signòre, ve n’era una parte, peraltro assai
contenuta, che bruciacchiava ed anneriva ma che veniva ugualmente
consumata e che in dialetto chiamavano
i pezzènghi (pezzenti), ovvero l’opposto delle pompose signòre.
Erano i tempi in cui poche famiglie di signùri
dominavano il paese e le differenze sociali erano assai evidenti, anche
nel modo di vestire. Oggi
.le coltivazioni intensive dei cereali hanno ridotto le produzioni a due
o tre varietà, che producono quattro - cinque volte di più dei grani
antichi, inondando però il mercato solo di queste specie, quelle su cui
si sperimentano gli OGM, quelle per le quali si
brevettano i semi, rompendo antichi sistemi di coltivazione, il legame con la terra e
distruggendo la cosiddetta “biodiversità”, cioè quelle varietà che crescevano adattandosi
alle terre e ai climi, in grado quindi di sfamare paesi, comunità, città
intere, perché in armonia con
la natura di quei luoghi. L’armonia
con la natura è un fatto importante perché noi stessi ne facciamo
parte e non dobbiamo influire su di essa. Un esempio: dopo lo tsunami
del 2004 che interessò la costa orientale dell’India, il mare,
ritirandosi, aveva salato tutte le risaie per migliaia e migliaia di
ettari. Era impossibile coltivarle. I contadini hanno però scoperto che
esisteva una varietà di riso resistente al sale, l’hanno piantata ed
hanno salvato i raccolti. Noi,
di fronte a un problema come questo pensiamo subito alla scienza, agli
OGM, invece la sapienza contadina sapeva che al problema esisteva già
il rimedio. Si
conserva memoria che nei secoli passati si coltivava a Sezze nelle zone
aride collinari una varietà di mais selezionata dai contadini locali,
caratterizzata da piante molto basse, di scarsa resa ma con il vantaggio
di fruttificare anche in assenza di precipitazioni, contribuendo a
sfamare la popolazione in un’agricoltura di sussistenza. Sono i magazzini della memoria, o meglio i granai della memoria quelli che conoscono la terra e sanno tradizionalmente cos’è la biodiversità, nata proprio per sfamare l’umanità in tutta sicurezza. Sezze è ricca di biodiversità, sicuramente più di altri paesi, tra queste eccellono i carciofi e i broccoletti. Non è a caso che nel suo emblema campeggia la cornucopia con la scritta Setia plena
bonis…. Ma
invece di aumentare, la biodiversità diminuisce progressivamente in
tutto il mondo. In un secolo, secondo Slow Food, si
sono estinte oltre 300.000 varietà vegetali e continuano a estinguersi
al ritmo di una ogni sei ore. L’Europa ha perso l’80%
e gli USA il 93% delle proprie diverse qualità vegetali ed animali, e
sulla terra si è già estinto o è in via di estinzione 1/3 delle razze
autoctone bovine, ovine e suine e ci si nutre per il 95% solo con una
trentina di varietà vegetali ed animali. Ancora
oggi, a fronte di una popolazione mondiale che sfiora gli 8 miliardi,
esistono un miliardo di persone che soffrono di denutrizione e di fame. E’
vero che la popolazione del pianeta rispetto a 50 anni fa è più che
raddoppiata, ma è pur vero che l’agricoltura
intensiva e chimica non ha risolto i problemi dell’umanità, ha
sfamato il pianeta solo in parte e soprattutto lo ha inquinato, ha
cancellato identità culturali di interi popoli e ha drasticamente
ridotto la diversità, che comunque rimane un pilastro forte,
anche se spesso vilipesa e non tenuta nella giusta considerazione. Rafforzare
la biodiversità non significa tornare ad un’economia residuale ma ad
una macroeconomia. Tante economie piccole, con molte persone che
partecipano, che lavorano, che spendono il loro tempo, che ci mettono
passione, realizzano una macroeconomia di proporzioni straordinarie. La
biodiversità,
oltre ad essere una risorsa per molte comunità del mondo, allarga il
numero di vitamine e proteine disponibili, affiancando quelle più
diffuse e conosciute, diventando alternativa valida alle coltivazioni
intensive delle solite produzioni alimentari. Se
saldiamo la biodiversità al recupero delle tradizioni e dei granai
della memoria contadina, alla scienza e alla tecnologia rispettosa della
natura, ad una più equa distribuzione delle risorse
alimentari
e perché no, al gusto riscoperto dei prodotti, si potrà salvare il
pianeta dall’inquinamento e dalla fame. Sezze, 6 aprile 2020 L'agricoltura
risorsa strategica nazionale In controtendenza con il crollo dei mercati finanziari, la corsa a beni essenziali sta facendo aumentare le quotazioni delle materie prime agricole e conferma che l’allarme globale provocato dal Coronavirus ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico del cibo. Non sono solo i consumatori e gli acquirenti di generi alimentari di tutto il mondo che stanno riempiendo le dispense, ma sempre più governi si stanno muovendo per garantire l'approvvigionamento alimentare nazionale per affrontare la pandemia da conoravirus. È noto infatti come l’aumento del prezzo del pane sia sempre stato una delle cause principali di disordini e instabilità. Senza l'approvvigionamento alimentare, ogni società è destinata a sfaldarsi.In uno scenario di questo tipo l’Italia, che è il Paese con più controlli e maggiore sostenibilità, ne potrà trarre certamente beneficio ma occorre invertire la tendenza del passato a sottovalutare il potenziale agricolo nazionale. Secondo Coldiretti, ci sono le condizioni per rispondere alle domanda dei consumatori ed investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti virtuosi di filiera, con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti.
L’Italia è prima in Europa e seconda nel mondo nella produzione di grano duro destinato alla pasta ma forte è l’importazione dall’estero (pari a circa 30% del fabbisogno) giunti dopo gli accordi europei Ceta dal Canada, dove non vengono rispettate le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese, a partire dall’utilizzo dell’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio nazionale, dove la maturazione avviene grazie al sole. Il raccolto di grano duro è più che sufficiente per garantire la pasta agli italiani, ma viene integrato con le importazioni, visto che la metà della pasta prodotta è destinata all’export, ora in difficoltà per l’emergenza Coronavirus. Sono indizi significativi di un'ondata di "nazionalismo alimentare" che interromperà le catene di approvvigionamento e i flussi commerciali del mercato globale e tutto ciò che possiamo prevedere è che il blocco peggiorerà, come riporta Bloomberg, l’agenzia di stampa internazionale con sede a New York tra le più note al
mondo. Sebbene le scorte siano ampie, gli ostacoli logistici stanno rendendo arduo garantire l'approvvigionamento e monitorare il controllo dei prezzi. E la storia ci insegna come le conseguenze possono essere gravi.In conclusione: se saltano le filiere tradizionali, il governo italiano deve assolutamente avere già organizzato un piano per assicurare rifornimenti. In caso contrario, sarebbe già troppo tardi. È urgente e indispensabile un controllo totale sulla capacità italiana di garantire la filiera agroalimentare e soddisfare le richieste basi di 56 milioni di persone. È lo Sato che deve indirizzare la produzione anche con scelte drastiche. Anche se l'Italia dovesse vincere prima di molti altri Stati questa sfida pandemica, il resto del mondo continuerà molto probabilmente a chiudere le frontiere e il panico genererà ulteriori strozzature nella global chain e nella filiera agro-alimentare globale. La risposta non può che essere quella di una seria pianificazione di autosufficienza e di sovranità alimentare. Sezze, 21 febbraio 2020 Salviamo l'agricoltura italiana e la nostra salute Una
volta si importavano dall’Africa solo banane, ora agrumi e pomodori
dal Marocco, altri agrumi e cipolle dall’Egitto senza contare il riso
del Vietnam, le nocciole dell’Arzebajan e molte altre tipologie di
prodotti dai Paesi extra UE, tutti rigorosamente a dazio zero. Esiste
dunque una vera e propria invasione di prodotti stranieri a discapito di
quelli italiani che creano un danno enorme sia alla produzione interna
che all’esportazione. Senza considerare gli immancabili riflessi sulla
salute, considerata la presenza di alfatossine cancerogene e di residui
di pesticidi, che da noi sono stati banditi da decenni. A
questo bisogna aggiungere altre emergenze: il ricorrente maltempo
(dovuto anche ai cambiamenti climatici e all’inquinamento) la cimice
asiatica ed altri insetti di importazione che stanno devastando il
territorio.
I
geniali
politici seduti al governo hanno ratificato l’arcifamoso trattato
‘tossico’ con il Canada, il “CETA”, che stando alla denuncia di Coldiretti,
fa aumentare
di oltre 11 volte le quantità di grano importate in Italia dal Canada
(per di più fatto essiccare ante raccolta con irrorazioni del
famigerato gliphosate). L’accordo
commerciale CETA ha dunque contenuti decisamente contrari, per non dire
nemici, dell’Italia e del Sud in particolare. Di certo non vanno
meglio gli altri accordi con altri Paesi extra UE. Tutti
questi accordi giovano alle multinazionali del settore e alle GDO, ma
sono deleteri per la nostra nazione e vanno a totale danno
dell’agricoltura e più in generale dell’economia e della salute dei
consumatori. Sono
più le aziende agricole che chiudono, di quelle che nascono e in tre
mesi più di tredicimila aziende agricole hanno cessato la loro attività,
facendo perdere 3.600 posti di lavoro. Non dimentichiamoci
delle parole del grande Pasolini che
in uno dei suoi Scritti corsari afferma che il giorno in cui questo
paese perderà contadini e
artigiani non avrà più storia.
Accade così che, virus permettendo, in futuro mangeremo sempre più prodotti che arrivano da fuori (dove si usano pesticidi in modo sregolato) e sempre meno prodotti sani e nostrani. E pensare che la nostra dieta mediterranea è stata riconosciuta patrimonio dell’Unesco per le sue qualità salutistiche! Lo dimostra il falso made in Italy nel mondo, che da fonti Coldiretti ha superato la ragguardevole cifra di cento miliardi di euro, cioè un valore pari a quattro finanziarie. Arancia
rossa dell’Etna, introvabile dalle nostre parti Sezze, 25 novembre 2019 Maltempo a Sezze, agricoltura in ginocchio Nonostante l’intervento pubblico però, i premi assicurativi delle produzioni agricole, seppure agevolati, finiscono per annullare quasi del tutto i già magri guadagni del settore, ragion per cui, nella stragrande maggioranza dei casi, gli agricoltori preferiscono il rischio all’assicurazione. Per di più, di fronte a fenomeni estremi sempre più frequenti, le compagnie di assicurazioni alzano i premi e l’intervento statale non riesce più a mitigarli nella giusta misura. Sezze,
16 giugno 2019 Tornare a vivere in campagna è il sogno bucolico di tutti, c’è l’aria buona, il contatto con la natura e gli animali, c’è la terra da coltivare oppure un piccolo orto. Magari è l’occasione per mettere a frutto quel pezzettino di terra di famiglia ereditato dai nonni, di utilizzare le nuove conoscenze, i nuovi strumenti digitali per restare a contatto con il mondo e coltivare bio. I numeri sembrano avallare ed incoraggiare questo indirizzo, il ritorno alla campagna è un dato ormai affermato, è qualcosa di più di un piccolo fenomeno, è una vera tendenza. Secondo dati Istat e studi di Coldiretti, il Pil agricolo nello scorso anno si è attestato al 3,6%, in netta controtendenza rispetto ad altri settori, ma non è tutto oro quello che luce perché a prosperare sono i grandi, mentre i piccoli faticano, arrancano, boccheggiano e spesso purtroppo si arrendono. Ogni anno in Italia chiudono 60.000 aziende agricole e a strangolarle non sono i cambiamenti climatici, che pure fanno la loro parte. A uccidere le piccole aziende e a soffocare la passione di decine di migliaia di piccoli produttori, oltre alla guerra dei prezzi (per cui a volte non conviene nemmeno raccogliere ciò che si è prodotto) è un coacervo di leggi e leggine, spesso in contrasto tra loro, difficili da capire, vessatorie. Potrei raccontare numerose esperienze, ma preferisco le testimonianze di Susanna Tamaro, riportate nel libro “Noi e lo Stato, siamo ancora sudditi” a cura di Serena Sileoni, dove la famosa scrittrice racconta le esperienze di varie persone a dimostrazione della sconfortante tesi secondo cui noi italiani, in realtà fatichiamo a diventare dei cittadini a tutti gli effetti, perché in realtà siamo ancora sudditi di uno Stato vessatorio. La Tamaro, dopo il successo del best seller “Va dove ti porta il cuore” si ritirò in campagna per mettere le ali al suo sogno di ritornare alla terra, alla riscoperta dell’autenticità del rapporto con le stagioni e per cucinare i propri prodotti. Cominciò a ristrutturare una cascina che aveva acquistato e pensò, nel pieno rispetto dell’ambiente di dotarla di un impianto fotovoltaico. La scrittrice si è divertita a pesare i documenti che le sono stati necessari per avere tutte le autorizzazioni: ben 2 chili di scartoffie. Ma come, non fanno che ripeterci che l’energia fotovoltaica è l’energia del futuro, che addirittura ci sono sgravi fiscali e invece per arrivare alla meta si deve affrontare un percorso ad ostacoli di questo genere! Ma perché, per quale motivo, si chiede la scrittrice, un produttore deve fare attenzione che le sue zucchine non siano più lunghe di 13 centimetri, altrimenti sono illegali secondo le normative europee? Per quale motivo un grappolo di ribes deve avere almeno 12 chicchi, altrimenti non può essere immesso sul mercato secondo le regole comunitarie? Qual è il senso? Ed i controlli degli ispettori del lavoro e dell’Inps? In generale i controlli sono una garanzia per i consumatori e anche per gli stessi agricoltori, dal momento che li preservano dalla concorrenza sleale e dal lavoro nero, ma spesso, come recita un vecchio proverbio, l’eccesso di cure ammazza il cavallo, e così la selva di norme finisce per strangolare proprio coloro che dovrebbe proteggere. Susanna Tamaro racconta un po' di storie che la riguardano da vicino, ma chiunque coltiva un fazzoletto di terra ne potrebbe raccontare delle altre. Dunque, lo scorso anno, la vendemmia di un suo conoscente è stata interrotta dalla visita degli ispettori dell’Inps. Il lavoro degli ispettori è un lavoro encomiabile, nobile se vogliamo, a loro spetta la verifica dell’esistenza di violazione delle norme, che specie nel mondo agricolo possono nascondere la schiavitù del caporalato. In quel caso però nella vigna non c’era niente del genere, c’erano 13 operai al lavoro regolarmente registrati, mancava il quattordicesimo, anch’egli registrato. E’ malato, ha la febbe, sta a casa fu la motivazione dell’azienda. Questa cosa però insospettisce gli ispettori che decidono di fare un accertamento, dunque vendemmia sospesa. Scottato da quella esperienza, il vignaiolo l’anno successivo compra una macchina vendemmiatrice e lascia a casa i quattordici stagionali. A Susanna Tamaro è stato chiesto, ad esempio, il passaporto per i quattro asini che aveva nella fattoria. Infatti, in questo Paese, c’è stato un periodo in cui veniva chiesto il passaporto per i ronzini, lei non lo sapeva, ne aveva quattro e a tremila euro di multa a capo dovette sborsare ben dodicimila euro. Due anni dopo il ridicolo balzello fu cancellato. La testimonianza della scrittrice si conclude con una storia capitata ad una sua vicina che aiuta il marito in un’azienda che alleva bovini da carne e produce cereali, con annesso un piccolo agriturismo. Fu proprio mentre puliva una stanza in attesa degli ospiti che le piombano addosso i controllori dell’Inps. A che titolo lei lavora in questa casa, le chiedono ? Veramente sono la proprietaria, risponde la donna. - Non è vero, contestano gli ispettori, la casa è intestata a suo marito. E’ vero, dice la donna, ma siamo sposati da quarant’anni. Ma lei non ha il contratto di lavoro, ribattono gli ispettori. Ma sono la moglie! fu la flebile risposta della signora -. Niente da fare, la scelta era tra pagare 20.000 euro di multa o iscriversi all’Inps, nonostante i sessant’anni di età. Gabelle, tasse, multe kafkiane, come si fa sostenere l’impresa, a incentivare gli investimenti, se lo stesso Stato che li promuove ci aspetta poi dietro la porta con la mannaia in mano? Non sarà anche per questo che Marcello Marchesi si chiedeva: “perché denunciare il reddito dopo il bene che vi ha fatto?” Sezze,
2 aprile 2019
Si dovrà tentare di ripescare dall’agrobiodiversità le specie coltivabili che abbiamo perso l’abitudine di coltivare, perché sono più rustiche e resistenti anche se meno produttive, ma che potrebbero affrontare meglio le sfide del cambiamento climatico. Sezze,
15 dicembre 2018 Gobbi ottenuti alla base della pianta madre del carciofo di Sezze Gobbi al forno Raccolta dei gobbi in un campo di carciofi. Nella foto Salvatore Santucci Sezze,
13 dicembre 2018 Serve decisione e autorevolezza nel confronto in Europa sulla manovra per non indebolire l’Italia in una fase delicata del futuro dell’Unione Europea con le scelte sul bilancio comunitario dal quale dipenderanno molte delle opportunità di sviluppo per il Paese fino al 2027. Un nuovo protagonismo in Europa è necessario per cambiare una situazione in cui l’ultima relazione della Corte dei Conti ha evidenziato come l’Italia sia contributore netto del bilancio Ue con un disavanzo di 4,4 miliardi nel 2016, che diventano 37,7 miliardi di euro se si prende in esame il periodo 2010-2016. In sostanza l’Italia paga 15,7 miliardi l’anno ma ne riceve indietro solo il 72%.Il nostro Paese si deve battere contro ulteriori tagli nel nuovo bilancio europeo a carico della Politica agricola comune (Pac) che aggraverebbe la condizione di pagatore netto. A pagare il conto della Brexit non deve essere l’agricoltura che è un settore chiave per vincere le nuove sfide che l’Unione deve affrontare, dai cambiamenti climatici all’immigrazione, alla sicurezza. C’è l’esigenza di “riequilibrare” invece la spesa facendo in modo che la Pac possa recuperare con forza anche il suo antico ruolo di sostegno ai redditi e all’occupazione agricola per salvaguardare un settore strategico per la sicurezza e la sovranità alimentare e per contribuire alla crescita dell’intera economia europea.Per sostenere le imprese occorre anche metter mano ai ritardi strutturali del nostro Paese che frenano la competitività e per questo servono trasporti merci efficienti, considerato che oggi ben l’86% avviene su gomma rispetto alla media europea del 76%, con effetti sui costi, sull’inquinamento ambientale e sul consumo di suolo che ha raggiunto livelli insostenibili di 2 metri quadrati al secondo nel 2017. L’Italia ha bisogno pero’ anche e soprattutto di reti immateriali valorizzando l’impegno sul piano economico di sostegno alle esportazioni Made in Italy delle Ambasciate italiane all’estero in sinergia con l’Ice. Sezze,
23 settembre 2018 Arriva il villaggio degli agricoltori Coldiretti: un'occasione unica per vivere da vicino, nel cuore della città, la grande bellezza delle nostre campagne. Un’occasione per grandi e piccini, per vivere in città un giorno da contadino, nella stalla con gli animali della fattoria, sui trattori, nell’agriasilo, nell’orto con le verdure di stagione, ma anche per arrivare a scoprire i trucchi di bellezza delle nonne con l’agricosmetica, gustare le ricette tradizionali dei cuochi contadini o acquistare direttamente dagli agricoltori esclusivi souvenir. E se tutto questo non bastasse è inoltre l’unico posto al mondo dove tutti possono fare un’esperienza da veri gourmet con il miglior cibo italiano grazie agli appetitosi menù preparati dagli agrichef Campagna Amica. Sezze,
5 giugno 2018 I ranocchi erano un piatto estivo perché, per rispettarne la riproduzione, non dovevano essere assolutamente pescati nei mesi con la “r” (febbraio, marzo, aprile, settembre, ecc.) nonostante la palude ne fornisse in quantità pressoché illimitata. Sezze,
20 maggio 2018 Sovranità
alimentare per l'agricoltura, etichettatura di origine obbligatoria,
riforma della Pac, nuovo approccio nei trattati di libero scambio,
voucher e stop sanzioni Russia. Sono i punti chiave della “parte
agricola” della bozza di Contratto gialloverde, l’accordo
programmatico che dovrebbe fungere da base per il nuovo Governo a guida
Lega-M5S, divulgato dall'Huffington post. Nel
documento si ricorda che il settore primario è “uno dei più
promettenti dell’economia” anche se è da tempo “impegnato a
sopravvivere alla competizione globale dei mercati”. L’obiettivo è
dunque “una nuova presenza a Bruxelles per riformare la Pac”,
integrando le “misure di sostegno, specie quelle dello sviluppo rurale
con interventi per realizzare obiettivi di interesse generale quali la
tutela del paesaggio, la difesa degli assetti idrogeologici, la
sicurezza alimentare”. Il
contratto gialloverde impegna dunque a “difendere la sovranità
alimentare dell’Italia e tutelare le eccellenze del made in Italy”
condizionando le scelte all’interno della prossima riforma della
Politica agricola comune, anche mettendo in campo strumenti per
garantire trasparenza ed efficienza nell'erogazione dei fondi Pac da
parte delle Regioni. E’
inoltre prioritario, per Lega-M5S adottare un sistema di etichettatura
d’origine corretto e trasparente che garantisca una maggiore tutela
dei consumatori. Altro
punto forte del contratto è un “nuovo approccio europeo nei trattati
di libero scambio con i paesi terzi”, che dovranno essere ratificati
dagli Stati membri ed esaminati dai parlamenti nazionali. Ma
un pilastro dell’azione del prossimo governo sarà anche “la riforma
dell’Agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura (Agea) e del
Siam il Sistema informativo unificato di servizi”. Ma il contratto
gialloverde prevede altri temi di interesse agricolo, a partire dal
capitolo sul ritiro delle sanzioni alla Russia, che hanno causato
l’embargo di Putin sui prodotto agroalimentari europei, compresi
quelli italiani. In
agenda anche il ritorno dei voucher lavoro, nati per il settore
agricolo, la cui cancellazione “ha creato non pochi disagi ai tanti
settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresenta uno strumento
indispensabile”. Sezze, 21 gennaio 2018 Questa non è l'Europa che sognavamo Dopo il Ceta arriva il Mercosur e l’agricoltura italiana torna ad essere merce di scambio per accordi internazionali che danneggeranno gravemente le imprese agricole e le produzioni Made in Italy. A denunciarlo è la Coldiretti in riferimento al negoziato commerciale che l’Unione Europea ha intrapreso con i Paesi del mercato comune dell'America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, oltre al Venezuela (che non rientra però nel patto). A preoccupare è, tra i vari punti, l’apertura all’arrivo a dazio
zero in Europa di grandi quantitativi di carne bovina dai paesi
sudamericani. Si parla di un contingente di 70mila tonnellate che
potrebbe aumentare a 100/130mila tonnellate. Ciò implica una concorrenza
sleale nei confronti degli allevatori italiani e un abbassamento della
qualità per i consumatori, considerato che l’86% della carne
importata dall’Ue già proviene dalla Paesi Mercosur che non
rispettano gli standard produttivi e di tracciabilità oggi vigenti in
Italia e nel Vecchio Continente. Lo
stesso discorso vale per il riso,
dove il contingente tariffario sarebbe di 45mila tonnellate, ma anche
gli agrumi, specie
considerando le problematiche fitosanitarie dei prodotti provenienti da
Paesi Mercosur contaminati da Black-spot
o Macchia nera. Ma
preoccupa anche il discorso della protezione
delle indicazioni geografiche e della lotta
al fenomeno dell’italian sounding in paesi come quelli
sudamericani, in cui la produzione di cibo che richiama all’Italia o
ne storpia le principali specialità è particolarmente fiorente. Decisamente
più ridotti i vantaggi per l’export agroalimentare Made in Italy. La
liberalizzazione riguarderebbe vini, sughi, marmellate, conserve di
frutta, olio d’oliva ma non pasta, formaggi, aceti, pomodori
preparati. E anche laddove c’è il semaforo verde, come nel caso del
vino, il potenziale dell’export resterebbe in ogni caso limitato a
causa di un accordo interno dei Paesi Mercosur che favorisce i prodotti
di Cile ed Argentina. Sezze, 20 ottobre 2017 Ritorna a Sezze il mercato di Campagna Amica La
nuova Amministrazione comunale, nel segno della continuità
con il passato, ha firmato la delibera che autorizza il Mercato
di Campagna Amica di Coldiretti alla vendita dei propri prodotti presso
la rotatoria di viale Marconi – Piagge Marine. Il primo appuntamento
è fissato per giovedì 26 ottobre. L’accordo Comune- Coldiretti
prevede un incontro mensile sperimentale nel Centro storico, a P.za
Regina Margherita (San Pietro) anziché in viale Marconi, con lo scopo
di rivitalizzare il centro. E’
prevista, in aggiunta, una graduale estensione del Mercato alle
periferie (Sezze – Scalo, Colli, ecc) e la partecipazione ad
importanti eventi del paese. Coldiretti, dal canto suo, sta
lavorando per ampliare la gamma dei prodotti offerti in vendita,
con l’obiettivo minimo di raddoppiare il numero dei gazebi. Attaverso
la Fondazione Campagna Amica, Coldiretti promuove una vera e propria
rivoluzione culturale, cambiando il modo di fare la spesa e,
conseguentemente, il
rapporto con il cibo di tutti quei cittadini che hanno scelto di
acquistare regolarmente dagli agricoltori, privilegiando i concetti di
stagionalità, sicurezza, legame con il territorio, riscoprendo valori
forti quali la fiducia, le relazioni umane, la conoscenza e finanche il
gesto di un semplice sorriso o una stretta di mano. Un’operazione
la cui riuscita era tutt’altro che scontata, tanto più in un periodo
di crisi e di calo dei
consumi, ma che ha portato oggi il brand Campagna Amica a diventare per
il consumatore sinonimo di buon cibo italiano, sano e di qualità. Un
valore immateriale prezioso che le nostre aziende accreditate possono
spendere sul mercato con legittimo orgoglio. Gli agricoltori di Campagna Amica attendono quindi tutti i cittadini consumatori all’appuntamento di giovedì 26 Ottobre per offrire il meglio delle produzioni locali: cibi freschi e genuini a Km zero, che fanno bene alla salute e all’ambiente, ottimi prodotti di stagione rigorosamente in filiera corta. I mercati di Campagna Amica non sono solo l’appuntamento per una spesa di qualità ma anche un modo per sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza di un’alimentazione sana e di uno stile di vita corretto e consapevole.
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